Che cosa c’è sullo scaffale del cinema Raccomandiamoci a… “San Totò”
Sembrerà strano o forse addirittura irriverente ma Totò è questione di fede. Ed è questo che ha spinto uno dei critici musicali più apprezzati come Paolo Isotta – purtroppo recentemente scomparso, poco prima della pubblicazione di questo volume – a dedicare un libro al principe della risata. E a intitolarlo proprio San Totò (Marsilio, pp. 302, euro 19). Una struttura semplice perché non c’è nulla da dimostrare che già non si sappia, se non una sorta di professione di fede da parte di un uomo di cultura napoletano, arrivato sulla settantina e cresciuto nel mito di Totò. Tuttavia è chiaro che questo solo spirito non può essere sufficiente a giustificare l’iniziativa, che parte proprio come dimostrazione d’affetto e come forma di rimpianto. Quello di un autore che confessa di non aver mai assistito a uno spettacolo del celebre comico. Non solo, si diceva. E allora, nelle sessanta pagine introduttive, filtra uno studio che tende a mettere in collegamento il mitico principe Antonio De Curtis con le maschere della commedia dell’arte e ancora più indietro, fino a Plauto, Terenzio e Aristofane, l’Atellana e i Fescennini. Insomma la tradizione profondissima della risata italica che affonda le radici nella latinità. Nel gusto della gag quando si chiamava cachinno. Nel piacere di raccontare la ruspante popolarità, anche nei capolavori di Eduardo Scarpetta come Miseria e nobiltà o Un turco napoletano, dove non sempre si ride ma esce nitidamente l’arte che ha consacrato Totò al teatro e consente di perdonargli qualche film, indiscutibilmente meno eccelso di altri. D’altra parte, si sa, che anche nei più grandi qualche caduta è fisiologica.
E il libro, con lo spiccato manierismo di Isotta, diventa un’attenta guida a una filmografia foltissima, divisa per periodi attività che vanno dal 1949 all’anno della morte, avvenuta nel 1967. E – con il rigore dello storico che, nell’ambito delle sette note, lo caratterizzò – Isotta non trascura nulla dosando pagine e riflessioni a dare maggior spessore ai titoli più significativi a discapito dei modesti Risate di gioia, Totò di notte n. 1, Totò e Marcellino. E l’elenco potrebbe sfortunatamente allungarsi ma anche comprendere i tratti migliori dei titoli già anticipati, ai quali si aggiungono Guardie e ladri, Uccellacci e uccellini, I soliti ignoti, Totò a colori o gli indimenticabili, ovvero quei film difficilmente classificabili come capolavori ma che hanno consegnato alla posterità frasi e macchiette intramontabili. L’onorevole Trombetta. La malafemmina. Il marito succube di Titina in Totò, Peppino e i fuorilegge che mette in evidenza i legami con i De Filippo, anche se con Eduardo non mancarono dissapori e incomprensioni. Per non tacere quel breve siparietto con il vigile di piazza Duomo in un italiano francesizzato che separava di millenni la distanza Napoli-Milano azzerata dalle migrazioni degli anni più difficili. E ancora oggi, davanti alla foto di Totò e Peppino di fronte al ghisa, è impossibile non sentir risuonare nelle orecchie le parole buffe di una frase riplasmata e distorta come solo i più grandi sanno fare. La lettera drammatica di Sciosciammocca e quella ridicola sotto dettatura allo scrivano Peppino. Un linguaggio che prende tonalità diverse in Totò e Peppino divisi a Berlino. Film in cui tutto fa spettacolo come la vendita di Fontana di Trevi agli americani. Un’altra scena appunto indimenticabile