Re Erode dei cagnolini – lo sanno tutti – ha il volto inquietante di una donna che sogna di scuoiare 101 dalmata con mamma e papà Pongo e Peggy per farsi una sfavillante pelliccia maculata bianca e nera. È finzione, anzi favola. Per questo si riesce a parlarne senza eccessiva commozione. Tutti sanno che la temuta mattanza promessa non è mai stata mantenuta e gli eterni cuccioli godono di ottima salute. Il regno della fantasia garantisce miracoli a costo zero, perpetuati nel tempo come le figure dei cattivi che, soprattutto nei cartoni animati della prima Disney, sono cattivi veri. Perfidi nel midollo. Nelll’anima. Nelle viscere di fiele. E oggi, nel tempo della serialità a tutti i livelli, scatta la corsa alla verità mai raccontata. Chi era la tremenda Crudelia… Un’operazione tutt’altro che semplice da quando il cinema, poco più di un annetto fa, aveva scandagliato le origini di un altro malvagio. Il Joker. Uno che è nato nei fumetti e sul grande schermo è arrivato a più riprese, lasciando i disegni alla carta e muovendosi con le sembianze di Jack Nicholson e Heath Ledger. Ne è uscito il racconto drammatico di un ragazzo bullizzato con una smorfia sulla faccia e l’odio scolpito nei cromosomi. Risata esteriore di un dramma nascosto e sete di morte da distribuire con disinvoltura per una cosmica vendetta contro l’umanità. Il passato di Crudelia non ha lo stesso pathos ma conserva la medesima nera sfortuna. Una bambina all’improvviso si trova sola e perde quella che crede essere sua madre. E questo è soltanto l’inizio di una serie di colpi di scena che caratterizzano Crudelia di Craig Gillespie, un regista che di cattiveria se ne intende dopo aver portato al cinema I Tonya.

Se la mamma del Joker è una malata di mente, quella della futura persecutrice di Pongo, Peggy e florida prole sarà al centro del mistero che solo nelle ultime sequenze verrà chiarito. Tuttavia al Joker – in particolare quello scenografico di Jack Nicholson che appare a Batman in numerose spettacolari forme – questa Crudelia (Emma Stone) guarda con attenzione, proprio per la capacità di saper apparire in una vera e propria epifania scintillante di colori e luci. Una messinscena sorprendente che cambia ad ogni comparsa nella sfida alla sua nemica, la Baronessa von Hellman (Emma Thompson), stilista di alta moda con una gestualità che ricorda molto da vicino la Meryl Streep de Il diavolo veste Prada. Il suo disprezzo con cui tratta assistenti e collaboratori – uno in particolare mostra sconcertanti rassomiglianze con un giovane Yves Saint Laurent – e l’alterigia che la contraddistingue in ogni occasione. Sfida all’ultimo vestito e all’ultima carognata. Tra le due protagoniste va in scena un braccio di ferro che mette a nudo tutte le malvagità psicologiche possibili. A suo modo per Crudelia anche quella è una sorta di scuola da cattiva con un’insegnante che entra di diritto nel gotha dei perfidi di ogni tempo. Una guerra sottile senza esclusione di colpi – realizzati e sbagliati – sotto forma di furto e addirittura di omicidio. E questa è una novità perché il delitto non ha mai avuto cittadinanza nei film Disney fino a questo viaggio tra le lugubri origini di Crudelia.

Chi temesse una demonizzazione dei cani nella nascita dell’odio che ha trasformato Estella, la piccola protagonista, in quella Crudelia dai sogni della pelliccia con il mantello di Pongo e Peggy, stia tranquillo. Piuttosto, il film toglie il velo a un altro confronto. Quello tra i cani di razza della Baronessa, tutti muscoli. Mordaci. E voraci. Dall’altra parte il meticcio dei due compari della trovatella Estella, due ladri perennemente al lavoro con un complice a quattro zampe, tanto piccolo quanto intelligente e intuitivo. Forza bruta contro razionalità, in una partita dove tutto è apparenza ma niente è come sembra. Nemmeno nei nomi dove i traduttori s’impantanano allegramente. Cruella, nome anglosassone di Crudelia, viene mantenuto e utilizzato liberamente contraddicendo un titolo che, di fatto, non si rispecchia in alcun personaggio. Un pasticcio che nelle ultime scene viene addirittura complicato con la genesi del cognome. L’inglese Cruella De Vil richiama al diavolo (devil) che in italiano diventa De Mon in riferimento al demonio. Una spiegazione che abortisce improvvisamente a vantaggio dell’auto utilizzata dalla perfida dama, una presunta casa transalpina – ma da dove spunta la Francia… – denominata Deville, in riferimento alla proprietà di girare per la città esibendo il lusso più sfrenato, in reazione alla povertà di nascita.  Insomma, diciamolo pure, Crudelia De Mon che “farebbe paura perfino a un leon”, come cantava il ritornello del primo cartoon, non è più la stessa. È Cruella De Vil. Stessa storia, altro personaggio.

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