Sapere che, dopo la madre è stato abbandonato anche dal padre lo ucciderà.

John è un ragazzo padre. Ha provato il brivido per l’attrazione esotica ma la fidanzata russa, dopo aver sfornato un bel bambino, abbandona compagno e bebè. Siccome però i guai sono come le ciliegie e una tira l’altra, la sfortuna ha in serbo un colpo maledetto per quel giovane lavavetri, introverso e riservato. Una malattia di quelle che non perdonano. L’uomo decide allora di muoversi, alla ricerca di una famiglia che possa garantire al suo piccolo Michael un futuro degno di un essere umano. Il caso – sotto forma della selezione degli assistenti sociali – profila una serie di personaggi, campionario di un’umanità che, definire persone, è decisamente azzardato. Così John s’imbatte in una coppia egoista che vuole un bambino per sentirsi meglio con se stessa. Incontra l’offesa ingiusta e gratuita sul lavoro, da parte di un cliente ottuso. Conosce una donna nubile con esperienze fallimentari alle spalle e il desiderio di coronare sogni che la vita le ha proibito. Sperimenta la grettezza di chi non ha coraggio di regalare un pupazzo a quel piccolo, che accompagna il padre verso un  futuro che forse è anche il presente ma, in ogni caso, è troppo piccolo per comprendere e accettare la fisionomia di un destino vigliacco. Nowhere special di Uberto Pasolini è un film eccellente come di rado se ne vedono, un’opera perfetta che si richiama – purtroppo – a fatti realmente accaduti, seppur liberamente interpretati. Una sola debolezza, quella di ricalcare in parte la trama di Truman, uscito qualche anno fa, imperniato su un intreccio simile con un cane al posto del bambino.

Tuttavia, se in quest’ultimo caso, l’amicizia fra il malato terminale e il padrone affidatario semplifica ogni relazione, nell’opera di Pasolini c’è l’impatto con il mondo fatto di sconosciuti. La volontà di trovare qualcuno che possa garantire al piccolo “il futuro che io non ho avuto”, come spiega John all’assistente sociale, al suo fianco nella ricerca. Un vagabondare all’interno delle umane miserie  che non lascia indifferente il pubblico ma non lo piega verso la disperazione più cupa. La situazione è drammatica. Le lacrime non sono la via d’uscita e nemmeno il linguaggio attraverso il quale si possa giungere a una serena soluzione. L’odissea di John è il viaggio che la Speranza compie nel tessuto delle vicende terrene, quelle che nessuno può plasmare a propria immagine e somiglianza perché soltanto la sensibilità e la delicatezza, soltanto la comprensione e l’altruismo, possono soccorrere ad affrontare. Serve carità che non è quella pelosa dello spicciolo buttato nel cappellaccio logoro del pezzente bensì la volontà di spendersi perché anche il prossimo possa trovare una forma di benessere sicuro. Un futuro rispettabile. Un presente degno di essere vissuto. Il piccolo Michael vive per il suo papà, senza sapere che quel genitore è la sua “casa” ma sta per abbandonarlo. E non per propria volontà. Sono le sciagure degli sfortunati, che aumentano di intensità e di forza quanto più si aggrava la loro situazione.

Ambientato nell’Irlanda divisa tra umiltà e tracotanza, il film non può non lasciar pensare a certo cinema di Ken Loach e, in particolare, a una strana mistura tra Io, Daniel Blake e Sorry, we missed you. La differenza sta nella chiave politica, funzionale in Loach alla condanna dei governi conservatori in Gran Bretagna mentre in Pasolini si trasformano in un dramma umano. La presenza dello Stato è assente. Le sue colpe sono nulle. Il dolore ha il volto disumano dell’umano che soffre. Il ragazzo padre si ammala e al figlio viene presentato un conto che non merita. Abbandonato e orfano. Solo. Alla ricerca di quella mano benevola e benedetta che sappia sorvegliare il suo diventare uomo e dirgli che il papà glielo ha strappato un male carogna. Una vita al capolinea prematuro. Nowhere special sa gestire  le tematiche senza inciampare sul banale, sull’inutilmente drammatico. La malattia di John non appare mai in primo piano, viene raccontata in maniera quasi incidentale e, a tutti i conti fatti, poco interessa darle il volto di una diagnosi precisa. Pasolini rappresenta il momento successivo che è un dramma nel dramma. E rischia di non avere via d’uscita se il moribondo non s’impegnasse affinché la propria scomparsa non si riveli un cataclisma per chi resta. Il bimbo che ha subito l’insulto di una madre irresponsabile dovrà sapere di aver avuto un padre che non merita l’oblio. Al contrario. Va ricordato per il coraggio di esserci anche nell’assenza. Un privilegio e un prestigio, prerogativa di quei pochissimi che sanno guardare oltre la vita. Oltre l’egoismo. In fondo, amare è cercare il modo per evitare che l’altro precipiti, quando tutto crolla. John ci riesce. Pasolini sa dargli voce e pensiero. Gli presta gli occhi e la voce. Il suo esempio duri per sempre.

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