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Cinzia Bianco fa quello che ogni analista di politica estera dovrebbe fare: per parlare di un argomento, si va sul posto e si fa ricerca sul campo. Lei nel Golfo ci viaggia spesso e per questo oggi parliamo con lei di un angolo del conflitto libico che spesso rimane inesplorato: il ruolo delle petromonarchie nel conflitto tra Haftar e Al Serraj.

Oggi con te Cinzia volevo parlare di un argomento di cui ultimamente sto parlando molto spesso, che è la Libia. Solamente che nei giorni scorsi ne ho parlato dal punto di vista occidentale, quindi italiano, francese e americano. Tu invece in un articolo che hai pubblicato su Limes hai analizzato in maniera chiara che nella regione gli attori principali non sono i paesi occidentali, ma bensì i paesi del Golfo Persico: Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar. Ci potresti spiegare perché è così?

Sì, io penso che alla base ci sia un equivoco di fondo. Chiaramente per noi occidentali è difficile immaginare che la regione medio-orientale, da secoli “area di gioco” prima europea e poi statunitense, possa essere soggetta a dei cambi radicali nel suo equilibrio geopolitico. Guardando però i fatti sul terreno, in realtà, pare evidente l’arretramento statunitense, c’è un senso di confusione da parte degli europei e vediamo un avanzamento non solo della Russia , ma anche della Cina e dal punto di vista geopolitico anche degli attori regionali che hanno la capacità di farlo. Attori che non hanno sofferto instabilità nei propri confini e hanno delle risorse finanziarie e politiche per avere un impatto di questo tipo. Si tratta quindi delle potenze del Golfo.

Io qui sotto ho una cartina del Golfo Persico e del Medio Oriente che ho ristampato apposta per questa intervista. Da profano ho messo anche un po’ di appunti: la rivalità tra la Turchia e Arabia Saudita, l’Arabia Saudita che è contro Fratelli Musulmani, mentre i turchi invece li sostengono; il Qatar che è completamente isolato; l’Arabia Saudita che è in guerra contro lo Yemen, l’Iran che sostiene gli Huthi. Questo gioco delle parti come fa a influenzare quello che ora sta succedendo in Libia? 

La divisione è molto simile a quella che hai tratteggiato tu. Partiamo molto rapidamente dal 2011, quando Gheddafi è caduto in Libia, l’Iran ha perso di fatto il suo unico interlocutore, non perchè Gheddafi fosse un amico particolare degli iraniani ma perché Gheddafi era un personaggio estremamente imprevedile e aveva questa spinta rivoluzionaria fortissima,che ideologicamente lo avvicinava all’Iran. Era molto anti-americano, e quindi molto vicino al regime iraniano. Per cui l’Iran, quando cade Gheddafi è fuori dai giochi. Rimangono sul terreno Abu Dhabi e Doha, e questo spiega perché entrambi erano molto entusiasti dell’operazione NATO del 2011, perchè ovviamente, era l’opportunità per gli Emirati Arabi e il Qatar di mettere la Libia nel loro campo. Inizialmente tra Abu Dhabi e Doha c’era un accordo per andare oltre Gheddafi. Cacciato Gheddafi, sul terreno si sono riscontrate delle grandi divisioni interne alla Libia che per convenienza si sono divise tra Fratelli musulmani e anti-fratelli musulmani. Con la fratellanza musulmana e le milizie estremiste collocate più nella parte occidentale del paese e che dall’inizio hanno rapporti finanziari, politici e logistici col Qatar. La stessa cosa è avvenuta nella parte orientale del paese dove si è formato un campo, che per semplificare chiameremo anti-fratelli musulmani, capitanato dal generale Haftar, ex gheddafiano,composto  da delle milizie salafiste, finanziato e aiutato dagli Emirati Arabi in primis e, soprattutto dopo il 2015, dall’Arabia Saudita.

Mi stai quindi dicendo che il Qatar, insieme alla Turchia, sostiene Serraj, mentre Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita sostengono Haftar. Spostando quindi il baricentro dal Golfo Persico all’Italia, se dovessimo iniziare delle trattative con Haftar, dovremmo metterci a trattare anche con Emirati Arabi e Arabia Saudita, giusto?

Assolutamente sì. L’Italia essendo una potenza europea ha facoltà di mettersi al tavolo con qualsiasi altro attore regionale e mondiale. Il punto è che bisogna avere delle condizioni politiche per poterlo fare. Abbiamo un ottimo dialogo con il Qatar, perché stiamo approfittando di questo loro isolamento. I qatarini stanno diventando sempre più interessati ad avere relazioni sempre più approfondite specie con nazioni importanti come l’Italia o altri paesi europei. Bisognerebbe fare la stessa cosa con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, partendo dal presupposto che è nostro interesse avere una Libia stabile e non in continuo conflitto in cui una delle due parti debba per forza affermarsi sull’altra, annientandola. L’Italia ha degli importantissimi asset strategici sia nell’oriente che nell’occidente della Libia e il più grosso rischio per noi è la guerra. Per questo abbiamo sempre avuto una posizione un po’ altalenante, perchè effettivamente i nostri interessi stanno un po’ di qua e un po’ di là. Bisogna quindi essere in grado di parlare con tutti per poter preservare i nostri asset strategici.

 

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