“Suonami, io sono tuo”: perché in Italia no?
[photopress:000dv543073alta.645.458.jpg,full,alignright]A qualcuno sembrerà la solita trovata demagogica che non serve a nulla. Qualcun altro ci riderà su. Ma l’idea di “Suonami, io sono tuo” va ben oltre il semplice divertimento: è l’espressione di una cultura che qui da noi in Italia non c’è ancora. Intanto spieghiamo: a Londra una onlus ha aiutato l’artista Luke Jerram a distribuire per tutta la città una trentina di pianoforti. Vecchi. Vecchissimi. Spesso rovinati. Ogni pianoforte era a “ingresso libero”. Uno arrivava, ci suonava qualcosa, magari si formava un piccolo assembramento di persone che ascoltavano, canticchiavano, proponevano altri brani. E’ stato un successo. Persino un quotidiano come il Guardian, di solito molto arzillo e scettico, ci ha dedicato un lungo articolo, tra l’altro pieno di commovente passione. Adesso l’iniziativa è finita e i pianoforti sono stati regalati a scuole locali e ad alcune comunità. Tutto bene. L’anno scorso Luke Jerram aveva sparpagliato i “suoi” pianoforti anche a San Paolo, a Sydney e pure nella gelida Birmingham, dove ben 140mila persone si sono fermate per suonare o ascoltare. Insomma, una bella idea. Perché non importarla anche qui da noi. A Milano. Oppure a Roma o in altre città. Forse ormai per quest’anno è troppo tardi. Ma per il prossimo si potrebbe, perché no?? “Suonami, io sono tuo”: non è soltanto u modo di ingannare il tempo. E’ anche la più elementare dimostrazione che la musica è un’arte nata per aggregare e ridurre le differenze. Sarà retorico ma perché non provarci??
Se in Inghilterra lo slogan “Suonami, io sono tuo” calza a pennello, in Italia forse bisognerebbe adattarlo in “Distruggimi, io non sono tuo” oppure “Prendimi, io sarò tuo”.
E’ un po’ il concetto del “book-sharing”. Sei su un treno, leggi un libro, ti piace, lo lasci perchè qualcuno lo possa raccogliere e leggere a sua volta, poi lasciare da qualche altra parte e così via.
In Italia temo anche io che non ci arriveremo, no. Se consideriamo poi il fatto che se lasci un mobile rotto in strada perchè l’amsa lo ritiri, 9 volte su 10 se ti affacci alla finestra vedi qualcuno che sgattaiola via con il mobile rotto prima, molto prima dell’arrivo dell’amsa.
Eh insomma, culture diverse, diciamo……
Sì Anonima, dal punto di vista della cultura musicale l’Italia è davvero forse il paese più arretrato d’Europa.
Ma valà, se si studia musica solo 3 anni alle medie inf. e con il solo flauto dolce….o paghi una scuola privata o sei autodidatta…. W l’Italia, uno dei Paesi più arretrati in Europa (in tutto)!!!!!
Grande whatta! E’ tardi per cercare di imparare a suonarlo a 30 anni? 🙂
Mr Frog, so suonare ”Catcher in the rye” al piano 😉
Ciao Paolo e ciao whatta,
Trovo sia un’idea originale che dovrebbe trovare spazi e consensi anche in Italia, per tentare di diffondere una cultura che manca al nostro paese. La cultura della musica fruibile, senza distinzione di ruoli (musicisti, strimpellatori, ascoltatori attenti e distratti…), musica non solo per intenditori ma per tutti coloro siano disposti a fermarsi con rispetto e curiosità ed aprire timpani e cuore.
Io, se fossi capace di suonare il pianoforte :-), mi cimenterei in “Catcher in the Rye”.
Buon pomeriggio
salve dott. Giordano,
eccomi tornato dalla mia vacanza tedesca tra Berlino e Francoforte…trovo subito un topic molto interessante…
“Qualcuno ci riderà su”. Quest’idea del pianoforte è a dir poco fantastica. La trovo molto originale e può permettere di lasciare un po’ di spazio alla vera musica….Creando dei bei momenti, io trovo tutto questo molto bello.
Poi non saranno in molti a pensarla come me, però su questa cosa mi sento molto sentimentalista.
Boh.
Saluti…Rock’n’roll!!
Whatta