Venezia, custode di un’eredità culturale che continua a reinventarsi

La forza di Venezia sta nella sua capacità di conservare mestieri che altrove sono scomparsi, trasformandoli in esempi di innovazione. Non è solo questione di memoria o nostalgia, ma di continuità: saper riprodurre la qualità di un tempo adattandola al mondo contemporaneo.
È questo il filo rosso che lega tre realtà simboliche — Tessitura Luigi Bevilacqua, Fortuny e la New Murano Gallery — tre modi diversi di interpretare la tradizione veneziana.
Palazzina FortunyNato a Granada nel 1871, cresciuto tra Parigi e Venezia, Fortuny incarnò lo spirito del suo tempo: quello della Belle Époque, in cui arte, scienza e moda dialogavano senza confini. A Venezia trovò il suo laboratorio ideale. Tra le pareti di Palazzo Pesaro degli Orfei, oggi sede del Museo Fortuny, cominciò a sperimentare colori, tessuti, luci. Accanto a lui, la moglie Henriette Negrin, mente silenziosa e precisa, con cui condivise invenzioni e ispirazioni.
Insieme, crearono la Delphos, tunica in seta plissettata che sfidava le convenzioni della moda femminile. Leggera, sensuale, libera: la indossarono Isadora Duncan, Eleonora Duse, Sarah Bernhardt. Era un abito, ma anche un manifesto: il corpo tornava a respirare, l’arte diventava quotidiana.
Nel 1922 Fortuny aprì la sua fabbrica a Giudecca, dove ancora oggi si produce ogni tessuto del marchio. L’edificio, affacciato sull’acqua, è rimasto quasi intatto: un luogo sospeso tra industria e bottega, in cui il rumore dei telai si mescola all’odore dei pigmenti. Tutto è fatto a mano, con procedimenti che nessuno all’esterno conosce. Le tecniche di stampa e tintura sono custodite come un’eredità familiare, tramandate a voce tra maestri e apprendisti.
Ma Fortuny non era soltanto un artigiano geniale. Era un inventore. Brevettò sistemi di illuminazione teatrale, studiò vernici e apparecchi per modulare la luce — il suo “dimmer” anticipa di decenni il concetto moderno di luce regolabile — e portò nel teatro la dimensione tecnologica. Era un artista totale, capace di spostarsi dal palcoscenico al tessuto con la stessa disinvoltura con cui un pittore passa dal quadro al muro.
Chahan Minassian, interior designer e Mickey Riad, proprietario e direttore creativo FortunyVisitare la fabbrica della Giudecca è come entrare in un tempio laico dell’artigianato veneziano. Le stanze filtrano la luce in modo diverso a seconda delle ore, i tessuti sembrano respirare. È un luogo dove la tecnologia resta invisibile, subordinata alla materia e al colore. E in un’epoca in cui la parola “lusso” è diventata sinonimo di quantità e di brand, Fortuny continua a proporre un’altra idea: quella della lentezza come forma di resistenza.
La forza di Fortuny sta nella sua attualità. I suoi motivi geometrici e floreali, ispirati al mondo antico, dialogano con architetti e designer contemporanei; le sue stoffe arredano teatri, yacht e palazzi, ma conservano lo stesso spirito sperimentale delle origini. Il marchio non è nostalgia, è un atto di continuità.
In fondo, Fortuny è sempre stato questo: un uomo che cercava la luce, e una città che gliela restituiva moltiplicata dai canali. La sua eredità, oggi, non è solo nei tessuti, ma nell’idea che bellezza e conoscenza possano ancora convivere, lentamente, dentro una trama di seta.

Entrando alla New Murano Gallery ci si trova di fronte a due registri che si sovrappongono: da un lato lo spettacolo del vetro che prende forma, rapidamente ma con assoluta precisione, sotto le mani esperte dei maestri vetrai; dall’altro una galleria ampia — oltre 2.500 m² di showroom — dove le opere in vetro di Murano vengono selezionate, esposte e presentate al pubblico con l’intento di un museo e la tensione stilistica di una boutique d’arte. L’effetto è insieme seducente e informativo: luci, colori, forme si riflettono e moltiplicano, mentre dietro ogni pezzo – un vaso, una lampada, un lampadario — si intravede la storia di una pratica artigianale, la firma di un maestro, l’eco della tradizione.
Tra i maestri citati si trova Pino Signoretto, artista del vetro che unisce la grande tradizione muranese a collaborazioni con gli artisti internazionali, e che rappresenta l’anello di congiunzione tra la manualità antica e la visione contemporanea. È grazie a figure come queste che la New Murano Gallery riesce a incarnare non soltanto una vetreria o un negozio, ma un laboratorio di cultura — un luogo dove il vetro smette di essere solo oggetto decorativo e diventa materia di design, scultura, esperienza estetica.
Ciò che impressiona è la capacità della galleria di confrontarsi con la contemporaneità: l’opera Vera Molnar “Icône 2020”, frutto di una collaborazione tra la pioniere dell’arte digitale e la vecchia scuola del vetro di Murano, ne è un esempio. Una scultura che unisce algoritmi e fornaci, pixel e soffiature, tecnologia e materia antica. È un gesto che dice: la tradizione non è ferma, non è un museo silente, ma un campo in cui si sperimenta, si mescola, si sperimenta di nuovo.
In quest’ottica, New Murano Gallery non è solo attrazione per turisti, ma potenziale crocevia di sguardi e progettualità. È il luogo in cui la storica legge del 1291 trova eco – ovvero il trasferimento del vetro artigianale sull’isola per preservarlo — e reinterpreta quella memoria nel XXI secolo con uno sguardo verso il design e l’arte contemporanea. Il fuoco, il vetro, il maestro vetraio con la sua canna — sono immagini che rimandano ad antichi rituali, ma oggi sono anche parte di un racconto globale, in cui Murano vuole continuare ad esserci.
C’è poi una dimensione spaziale da considerare: Murano è un’isola diffusa che vive di riflessi, turisti, battelli, vaporetti e storie di vetro. In questo scenario la galleria emerge come meta che racchiude una densità di significato e bellezza. Eppure, come ogni luogo “iconico”, è attraversata da contraddizioni: tra autenticità e souvenir, tra artigianato puro e vetrina di lusso. I visitatori che cercano il pezzo unico, la scultura fatta “dal fuoco”, lo trovano; chi cerca invece un ricordo economico potrà interrogarsi sui conflitti tra artigianato vero e produzione seriale.
New Murano Gallery è un invito ad andare più a fondo, oltre il vetro che scintilla, oltre la vetrina luminosa, fino ad afferrare qualcosa di più sottile e potente — il tempo, la materia, la mano dell’artista, il rischio del fuoco e la quiete del vetro raffreddato. È lì, in quell’istante, che Murano non è soltanto isola del vetro, ma laboratorio di idee.

Venezia fu per lunghi secoli il centro – se non della seta – almeno della sua più raffinata espressione: velluti, broccati, damaschi, stoffe che decoravano palazzi, chiese, abiti aristocratici. Ma con la soppressione delle corporazioni artigiane da parte di Napoleone nel 1806, quell’arte sembrò avviata al tramonto.
È in questo scenario che Luigi Bevilacqua acquista i telai seicento/settecenteschi della Scuola della Seta della Serenissima e li riporta in vita: è la rinascita di un mestiere.
Oggi l’azienda utilizza ancora 18 telai originali del Settecento per la produzione artigianale del velluto soprarizzo, tessuto preziosissimo che richiede una pazienza e una maestria fuori dal comune.
Questo è uno degli elementi che rende la Tessitura Bevilacqua non solo un’impresa, ma un museo vivo dell’alta manifattura veneziana.
I tessuti prodotti dall’atelier veneziano non sono mera evocazione del passato: arredano palazzi storici, ville, residenze di prestigio. Dalle collezioni per l’arredo fino ai capi d’alta moda: velluti, lampassi, broccati e damaschi firmati Bevilacqua trovano casa anche fuori dal Veneto.

La continuità familiare è un altro marchio distintivo: la società resta guidata da generazioni della famiglia Bevilacqua – oggi dall’avvocato Rodolfo Bevilacqua come presidente e dal dott. Alberto Bevilacqua come amministratore delegato.
Nel 2025 l’azienda celebra i suoi 150 anni – pur facendo risalire la propria genesi molto prima – con una mostra ospitata presso Palazzo Venart Luxury Hotel, a Venezia, in occasione della Venice Fashion Week.
In esposizione tre nuovi disegni in stile Liberty (“Flora”, “Loto”, “Glicine”) realizzati su velluto di seta, accanto al prezioso broccato a mano, carta da parati creativa e materiali d’archivio.
> In un mondo che corre verso la produzione di massa, la Tessitura Bevilacqua muove passi in controtendenza. È necessario delegare alle macchine alcune fasi, ma la produzione manuale su telai antichi rimane il cuore del mestiere.
La sfida è duplice: conservare l’identità artigianale – i telai, le filature, il “fare” lento – e al tempo stesso dialogare con il contemporaneo: designer, interior stylist, maison di moda che vedono in questi tessuti un valore esclusivo.
> Accanto alla produzione tradizionale, la Tessitura Bevilacqua ha mostrato apertura verso progetti innovativi. Ad esempio, la mostra “A Dress for Venice” nel 2022 ha unito artigianato, moda sostenibile e arte, utilizzando tessuti Bevilacqua in sei kimono ideati da Tiziano Guardini.
Così, il parlare della seta, del velluto, della manualità si trasforma in capitale culturale. Per Venezia, città che da sempre vive di immagine e identità, la Tessitura Bevilacqua è un simbolo tangibile di continuità – e di riscatto artigianale.
Chi si reca in Sestiere Santa Croce – civico 1320 – può prenotare una visita alla sede storica e ammirare i telai, vedere le tessitrici al lavoro e toccare con mano un tessuto fatto come un tempo.
Non è solo turismo: è immersione in un “mestiere” che ha plasmato l’estetica veneziana, che ha vestito la nobiltà, che oggi continua a essere materia di design contemporaneo.
Nel mondo spesso omologato del lusso, la Tessitura Luigi Bevilacqua rappresenta un’isola autentica. Non solo una marca o un’azienda, ma un baluardo della memoria artigiana di Venezia, capace di reinventarsi senza rinunciare alla sua anima. Celebrando 150 anni di attività, essa ci ricorda che il valore non è soltanto nella tecnologia – ma nella mano che ancora oggi solleva un ordito, tira un pettine, crea trama e ordito con un ritmo che parla di storia e di futuro.
In un’epoca in cui “velocità” è spesso sinonimo di progresso, la lentezza qualificante della Tessitura Bevilacqua diventa dichiarazione: la bellezza che dura, e che ha radici.

