Da qualche giorno è alle stampe l’ultimo libro di Luca Fumagalli, Dio strabenedica gli inglesi! Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo (Edizioni Radio Spada, pp.420).

Una raccolta di diversi articoli (ampiamente rielaborati), apparsi sulle pagine culturali del blog Radio Spada, su varie riviste e giornali, con la quale si  tenta di fornire qualche spunto critico sulla storia della letteratura cattolica britannica degli ultimi due secoli (con particolare attenzione all’Inghilterra, ma pure alla Scozia e all’Irlanda). Lavoro che incrocia – tra gli altri – il pensiero di J. H. Newman, G. K. Chesterton, J. R. R. Tolkien, R. H. Benson, Hilaire Belloc, Evelyn Waugh, Bruce Marshall e Graham Greene.

Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana, verga la postfazione, mentre la prefazione – che riporto integralmente qui di seguito – è di Paolo Gulisano.

 

 

Viaggio in Inghilterra (cattolica)

Un tempo vi fu la Britannia Felix.

In nessuna parte d’Europa quanto nelle isole britanniche esisteva, al tramonto del Medioevo, una tale quantità di monasteri, abbazie e conventi. L’Inghilterra era la perla della cristianità, con università come Oxford e Cambridge, nate dalla Fede, e nessuna nazione aveva dato tanti cavalieri per le Crociate.

Tutto questo crollò in poco tempo, a seguito della tragedia della Riforma. La Chiesa cattolica venne perseguitata, messa fuori legge e soppiantata da una nuova chiesa che era semplicemente la longa manus del potere.

Nell’arco di soli cinque anni il re d’Inghilterra e l’aristocrazia portarono a termine un sanguinoso e radicale sovvertimento della propria secolare civiltà, come l’Europa non aveva mai visto. La distruzione materiale fu accompagnata dalla peggiore persecuzione immaginabile e furono stabilite durissime leggi penali contro i cattolici: la Chiesa doveva scomparire dalla faccia del Paese, e con essa quanti si ostinassero ad aderirvi. Il clima di terrore fece sì che fossero di più gli apostati che i martiri. La paura si impadronì anzitutto del clero, soprattutto di quello secolare, e quindi del popolo. Resistere nell’antica Fede significava andare incontro ad arresti, spoliazioni e uccisioni sommarie.

Durante il regno di Elisabetta I si assistette inoltre alla nascita di una nuova religione: apparentemente l’Inghilterra era ancora cristiana, nonostante fosse separata da Roma, ma nella realtà rendeva culto a ben altro. Alla corte della sovrana, oltre ai pirati come Drake e ad abili politici come Cecil, si affollavano maghi, alchimisti e cantori di una nuova Età dell’Oro che sarebbe giunta attraverso la Regina Vergine, che doveva soppiantare nella sua magnificenza il culto della troppo umile Vergine di Nazareth. Mentre una nuova classicità si imponeva nelle arti e mentre l’Inghilterra assurgeva ai fasti imperiali inviando le proprie navi e le proprie truppe in tutti i continenti, l’antica Chiesa di Albano, di Beda, dei monaci celti e dei santi sassoni e normanni sprofondava nell’oscurità della persecuzione e delle catacombe.

Non era la prima volta che, nella sua storia, l’isola vedeva nascere un’eresia: già nel V secolo Pelagio aveva partorito una sua elaborazione teologica che metteva radicalmente in discussione la dottrina della Grazia, negando la trasmissione del peccato originale e dichiarando inutile il battesimo dei bambini. Per combattere le cattive idee del monaco dovette intervenire con tutta l’autorevolezza della sua scienza lo stesso Sant’Agostino. Tuttavia l’eresia che muoveva ora dai lidi inglesi era ben più subdola e allo stesso tempo pericolosa: pur conservandone le forme esteriori – liturgiche, bibliche, teologiche – svuotava il cristianesimo di significato, sostituendolo di fatto con un neo–paganesimo.

Nel 1717, a distanza di poco più di un secolo dalla fine del regno di Elisabetta, che inaugurò l’età dell’oro britannica, ebbe luogo in Inghilterra un nuovo avvenimento destinato a mutare significativamente il corso della storia e a proseguire un’antichissima lotta contro il cristianesimo: la nascita ufficiale della Massoneria. Da lì a poco tempo il Paese si riempì di logge – i circoli dove si riunivano i seguaci dell’organizzazione – che presto figliarono in tutta Europa. Esse agivano attraverso iniziati, seguendo un progetto che prevedeva l’organizzazione e la costruzione, secondo le parole dei massoni stessi, «dell’edificio legislativo che garantirà l’abbondanza per tutti, l’eguaglianza per tutti, la libertà per tutti. Il fine ultimo: erigere la Casa di tutti i popoli, il Tempio dell’umanità». L’utopia massonica, un sogno della ragione dal quale sono nati gli incubi della Rivoluzione francese, dei nazionalismi, dei socialismi realizzati, dei regimi antireligiosi dell’America Latina e, in ultimo, del Governo Unico Mondiale, incontrò subito un nemico irriducibile nella Chiesa cattolica.

Fin dal 1738, a soli vent’anni dalla sua costituzione, la Massoneria incorse nei fulmini di Roma. Il merito di questa decisione va ascritto ad un Pontefice, Clemente XII, e ad un sovrano scozzese in esilio, Giacomo VIII Stuart, discendente da quella Mary Stuart che si era opposta invano all’irresistibile ascesa di Elisabetta. Giacomo fu anche il padre del protagonista dell’ultima sfortunata epopea scozzese, il Bonnie Prince Charlie. Tra i sostenitori inglesi della causa degli Stuart si era infiltrata la Massoneria, e ciò a motivo sia dell’antichissimo lignaggio della nobile casata che del potere regale ad essa legato – si riteneva che gli Stuart possedessero le prerogative degli antichi re taumaturghi, compreso il tocco di guarigione – che affascinavano gli ambienti iniziatici ed esoterici. Giacomo Stuart, uomo di profondissima Fede, che aveva scelto Roma come sede del proprio esilio, respinse le seducenti offerte dei circoli massonici, e compresane la pericolosità, segnalò al Papa i progetti e le trame della setta. L’anziano Pontefice, ottuagenario e quasi cieco, ascoltò gli avvertimenti dello Stuart e il 28 aprile 1738 emanò una costituzione con la quale si scomunicavano tutti i membri della Massoneria, mentre i vescovi furono chiamati a vigilare attentamente. Il 14 gennaio 1739 fu pubblicato un nuovo decreto che colpiva duramente la setta. Era l’inizio di un lungo scontro destinato a durare sino ad oggi.

Alla fine del Settecento, sconfitti definitivamente gli Stuart e pacificata con la forza la Gran Bretagna, si affermò, anche per mezzo della Massoneria, il pensiero illuminista. L’Impero rinnovò poi la propria grandezza grazie alla potenza economica derivante dai commerci mondiali e dalla nascente rivoluzione industriale (Adam Smith, uno dei padri del liberismo, predicava che «le passioni dovevano cedere il posto agli interessi»). L’Ottocento sarebbe così stato il secolo di quel grande sviluppo che inghiottì milioni di uomini per immolarli al dio denaro, rinchiusi negli affollati agglomerati urbani e schiavizzati in fabbriche malsane. Pure le folli dottrine di altri due eminenti personaggi, Darwin e Malthus, trovarono ben presto applicazione sociale.

Ciononostante, nel corso di quel terribile secolo la luce della speranza si riaccese, prima debole fiammella, poi sempre più visibile. Nel 1829, sull’onda lunga della preoccupazione per le rivoluzioni che si erano verificate sul continente, e temendo soprattutto le “turbolenze” dei propri sudditi irlandesi, il governo britannico decretò l’abrogazione di quelle Leggi Penali che per tre secoli avevano discriminato i cattolici. La persecuzione appariva ormai non più necessaria: i cattolici non erano più considerati pericolosi; essi erano una ridicola sopravvivenza di idee del passato che la scienza moderna era ampiamente in grado di confutare.

La Chiesa cattolica inglese, che tornava a rivedere la luce del sole dopo tanto tempo, era composta in gran parte da poveri, per lo più immigrati irlandesi che erano sfuggiti alla morte per fame causata dalla grande carestia. Questi portarono con loro l’irriducibile attaccamento alla Fede e iniziarono a costruire parrocchie negli squallidi sobborghi industriali. Accanto ad essi c’erano i “vecchi cattolici”, i discendenti di quei pochi coraggiosi inglesi che avevano serbato la propria religione durante i secoli della persecuzione, tenendo viva una flebile fiammella nel buio della clandestinità con determinazione e orgoglio. Infine c’era una terza categoria, quella dei convertiti, che andava peraltro aumentando sempre di più.

Era una Chiesa che aveva perduto per sempre il suo antico splendore, e che si ritrovava ora ad essere una piccola minoranza in un mondo che la disprezzava. Una Chiesa che non aveva conosciuto la lunga stagione europea della Controriforma, con la sua grandezza ma anche con i limiti che emergevano sempre più chiaramente nel confronto con la modernità anti-cristiana. In questa Inghilterra sorsero, nel corso del XIX secolo, degli autentici giganti del pensiero religioso, che aiutarono il loro Paese, e non solo quello, in un cammino di “ritorno a casa”.

Da qui prende il via la magnifica narrazione di Luca Fumagalli, valente anglista, che ripercorre in modo pressoché completo, inedito in Italia, il panorama dei letterati e degli autori protagonisti di questo ritorno, di questa rinascita culturale cattolica dell’Ottocento e del Novecento.

Un ruolo che venne assunto dapprima da uomini come i cardinali Wiseman, Manning e, soprattutto, John Henry Newman, e poi da laici di valore. Tra questi spicca il poeta Coventry Patmore che ebbe a scrivere: «Il Cristianesimo non è in decadenza, è appena agli inizi della sua fortuna, è una scienza sperimentale la cui verità sarà dimostrata o ritrovata nel corso della storia. Nel frattempo la verità cattolica e l’amore – il giglio e la rosa dell’antico giardino – dovranno ancora ulteriormente appassire, dovranno abbattersi al suolo. Ma le radici resteranno intatte, e quando l’inverno inconcepibilmente orribile del quale avvertiamo ora soltanto i primi fiati, sarà passato, esse rifioriranno dal suolo con una vita molte volte moltiplicata. Prima però verranno tante epoche oscure, le più oscure che il mondo abbia mai conosciuto».

E così, sul declinare del XIX secolo e in vista degli errori e degli orrori del XX, la vecchia Inghilterra vide nascere degli uomini che si sarebbero battuti per la libertà, per il buon senso e per la Verità. Tra di loro, oltre a due amici, un po’ cavalieri e un po’ profeti, come Gilbert Keith Chesterton e Hilaire Belloc, vi erano anche padre Robert Hugh Benson e i suoi “Bensonians”, per arrivare al grande John Ronald Tolkien, al problematico Graham Greene, fino alla coraggiosa Alice Thomas Ellis, raffinata scrittrice, che si oppose con fermezza alle derive del Concilio Vaticano II proprio in nome dell’antica Fede dei Padri, quella che era passata attraverso le terribili prove della persecuzione. E poi tanti, tantissimi altri autori, in buona parte ignoti al pubblico italiano, che ora – attraverso questo magnifico saggio – ha finalmente la possibilità di conoscere. Romanzieri, giornalisti, saggisti, storici, ecclesiastici, apologeti cristiani oppure anime inquiete in cerca della Verità. Una galleria straordinaria di genio artistico e di Fede.

 

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