Di seguito riporto il testo integrale dell’intervista che ho rilasciato qualche giorno fa al giornale online Il Conservatore (https://il-conservatore.it/2021/01/29/conservatori-una-battaglia-di-resistenza-interiore-intervista-a-luigi-iannone/).

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      • Il pensiero conservatore ha una sua origine lontana ed è difficile inquadrarlo in poche righe. Oggi davanti alla ribalta globalista che tende a rovesciare storia, origini e identità, è tornato di grande attualità. Volendo tracciare il leit motiv di questa “riabilitazione” odierna la nostra redazione ha provato a stilare un manifesto dei valori conservatori le chiediamo un commento

Mi sembra un ventaglio articolato su cui ci si possa trovare per larghi tratti d’accordo. Per quanto mi riguarda, essendo su un fronte che scivola fatalmente dal realismo al pessimismo più cupo, tendo a far coincidere il concetto di conservatorismo con quello di resistenza interiore (o, se volete, spirituale). Difendere taluni spazi di libertà e di identità è per me, oggi, una battaglia di resistenza prepolitica più che una adesione a posizioni partitiche o politiche da cui, peraltro, mi sento lontano, o almeno non totalmente conquistato.

      • Lo scorso 12 gennaio si è celebrato il primo anno dalla morte del filosofo conservatore Roger Scruton, quali punti del suo pensiero ritiene sia utile portare all’attualità? 

Bisogna fare innanzitutto una premessa. Scruton è figlio di un mondo, quello anglosassone, che pur solido su talune convinzioni, cerca di innervarsi frequentemente e trovare punti di contatto con il liberalismo. Non cede posizioni, ma certamente si confronta e non teme la sfida. Il suo posizionamento nei confronti del “thatcherismo” è per esempio sotto gli occhi di tutti, come altrettanto evidente la sua autonomia e la non coincidenza assoluta e incondizionata verso quel modello politico. Il suo è quindi un conservatorismo liminare alle analisi di Edmund Burke, tanto per fare un nome, e meno al liberismo integrale che ha caratterizzato il modello inglese degli anni Ottanta. E sono tanti i punti imprescindibili del pensiero di uno che è stato innanzitutto apologeta dello stato-nazione e radicalmente ostile all’Unione europea: la critica al femminismo, all’egualitarismo, al politicamente corretto (e quindi i suoi saggi sulla caccia, sulla bellezza, sul sacro eccetera), la difesa di principi e valori considerati desueti come la comunità, l’identità, la famiglia (e, di correlato, la sua ostilità radicale al matrimonio tra persone dello stesso sesso), un ambientalismo non ideologico, l’avversione all’islamismo.

      • La parola conservatore in Italia ha una connotazione spesso negativa. Ecco perché, a differenza dei Paesi anglosassoni, questa parola è caduta spesso nell’oblio. Quali partiti e pensatori in Italia oggi, secondo Lei, hanno nella loro matrice uno stampo conservatore? E perché definirsi conservatori in Italia sembra spesso un tabù?

L’ostilità nei confronti del conservatorismo è anche comprensibile. Il conservatorismo si fonda su taluni principi inderogabili che, però, a differenza di ogni fronte progressista che è per sua natura monocorde e identico in ogni parte del pianeta, si adattano a luoghi, tempi, circostanze. Un conservatore anglosassone opererà politicamente su quadri tattici diversi dai nostri o da quelli di un conservatore australiano o thailandese. Sui partiti lascerei perdere e non mi azzardo a dare giudizi definitivi. Al momento attuale sono di una liquidità e di un funambolismo talmente disarmante che – nel caso approvassi o condannassi una loro scelta o posizionamento – rischierei di essere smentito tra un’ora. Il fronte di centrodestra mi pare quello più attrezzato per dare risposte alle esigenze di un pensiero di tale tipo, ma conta poco ciò che promettono o fanno sperare in questa fase. A essere decisiva sarà l’azione di governo e cosa sapranno fare nel momento in cui avranno la guida della nazione. Tante volte hanno fatto inversione di rotta. Sulla sua seconda domanda, è cioè perché difendere certi valori sembra essere diventato un tabù, la risposta è chiara: perché in una società come la nostra, difendere l’ovvio è rivoluzionario! E quindi, sovvertire l’ordine costituito o che si tenta di costituire, significa essere fuori dagli attuali schemi di comprensione logica. Affermare che “genitore 1” e “genitore 2” sono dizioni che rasentano il ridicolo dovrebbe apparire come cosa ragionevole e di buon senso e, invece, in questo baillamme che tutto accoglie, appare come rivoluzionaria e sovvertitrice.

      • La più grande eredità conservatrice italiana a quali autori può essere intestata? Ce ne indichi almeno tre…

L’elenco sarebbe lunghissimo e incasellare in ambiti definiti autori diversi per percorsi e sensibilità è pericoloso e fuorviante. Il conservatorismo è un mondo così articolato e multiforme che intestarlo a qualcuno diventa riduttivo. Mi limito comunque alla lettera “P” e ad un preciso momento storico. E dunque: Papini, Pirandello e Prezzolini.

      • La cultura conservatrice è solo “occidentale” o si rinvengono esempi anche in Oriente? 

Dovunque si difenda un patto storico tra le generazioni (il legame «fra i morti, i vivi e i non ancora nati» di burkiana memoria), si ritenga il progresso non un valore in sé e quindi “assoluto”, ma sostanza da valutare momento per momento, e si dia spazio e margine di manovra ad una visione non materialistica dell’esistente c’è spazio per una cultura conservatrice.