Politica

Rinchiudete le bestie in gabbia

Dodici ore nel rudere abbandonato. Dodici ore di violenze. Le indagini sulla morte di Desirée Mariottini raccontano l'inaudita brutalità di un branco formato non da uomini ma da bestie. Tre immigrati, tutti e tre africani (due senegalesi e un nigeriano), tutti e tre irregolari. Non avrebbero dovuto essere nel nostro Paese, ma qui vivevano, ai margini della società, vendendo morte in cristalli di eroina. A Desirée non si sono limitati a vendere droga ma, dopo averla tenuta d'occhio per alcuni giorni, l'hanno stordita e l'hanno stuprata mentre era incosciente. Infine, l'hanno lasciata morire. FOTOGRAMMA_20181025092738_27611623 Le storie di queste tre bestie raccontano non solo l'incapacità dell'amministrazione Raggi di far valere la legalità in tutta la città. Ci dicono anche molto sul fallimento delle politiche migratorie portate avanti dalla sinistra negli ultimi anni. Gara Mamadou, uno dei due senegalesi arrestato questa mattina, aveva un permesso di soggiorno per richiesta d'asilo scaduto. Il provvedimento del prefetto di Roma risale al 30 ottobre 2017. Eppure se ne andava ancora a zonzo per il Paese. E ha continuato a bivaccare qua e là a Roma dopo essere stato rintracciato dalla polizia a fine luglio. Minteh Brian, il secondo senegalese finito in manette, aveva presentato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, un foglio di carta “speciale” inventato dal governo Prodi . Anche il suo permesso non era a posto: la Questura era, infatti, in attesa di integrazioni documentali perché la domanda non aveva la prescritta iscrizione anagrafica. Il terzo arrestato è un nigeriano: si chiama Alinno Chima e aveva un permesso di soggiorno per motivi umanitari scaduto da sette mesi. Anche lui avrebbe dovuto lasciare l'Italia, ma per la banca dati del Comune di Roma era irreperibile. Probabilmente gli arresti non si fermeranno qui. Secondo gli inquirenti il branco sarebbe stato formato da almeno sette persone. FOTOGRAMMA_20181025092739_27611625 Il drammatico omicidio di San Lorenzo ricorda altre violenze inaudite che hanno sconvolto gli italiani negli ultimi tempi. Il primo: la serie di stupri fatti a Rimini dal congolese Guerlin Butungu e tre minorenni (due fratelli marocchini e un nigeriano). “Sono ragazzini… tra due anni usciranno dal carcere, andranno a lavorare, si faranno delle famiglie e faranno dei figli”, aveva commentato Mohammed Louennous, il padre dei due fratelli, appena era venuto a sapere quello che i figli facevano parte del branco che aveva violentato una giovane polacca e se l'era poi presa con un transessuale. Il secondo caso che torna alla mente è, invece, il brutale omicidio di Pamela Mastropietro, anche lei stuprata, barbaramente ammazzata e, infine, fatta a pezzi da tre immigrati nigeriani (Innocent Oseghale, Lucky Desmond e Lucky Awelina). Fa impressione, in tutti questi casi, la brutalità con cui queste bestie si siano accanite sui corpi di queste ragazze indifese. Non solo. Fa impressione la facilità con cui queste bestie riescano a rimanere in Italia. Butungu, per esempio, aveva quello stesso permesso di soggiorno rilasciato per motivi umanitari che Matteo Salvini ha finalmente abolito con il decreto Sicurezza. Oseghale, invece, aveva un permesso di soggiorno scaduto ma veniva mantenuto da una cooperativa locale. Awelima, poi, era stato inserito in un programma di protezione umanitaria per i richiedenti asilo, ma era stato beccato a spacciare droga. Eppure anche lui era rimasto tranquillamente in Italia: se ne stava in un albergo a quattro stelle, alle porte di Macerata, da oltre un anno. Come queste storie ce ne sono molte altre. Forse meno cruente, ma ugualmente drammatiche. Raccontano tutte lo stesso fallimento di un'integrazione impossibile a cui ora, dopo aver bloccato gli sbarchi, Salvini deve assolutamente porre rimedio. Chi non ha diritto di stare in Italia, deve essere immediatamente rimpatriato. E chi delinque, deve essere assicurato subito alla giustizia.

Affinché altre ragazzine non facciano la stessa fine di Desirée o di Pamela.

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