Coronavirus

Il virus che è nell’uomo

Il virus che è nell’uomo

Quando la scorsa settimana ci è piombata addosso la notizia del primo contagiato, un 38enne di un paesino della provincia lodigiana, subito la paura si è fatta spazio dentro ognuno di noi. A chi più, a chi meno è subito apparso evidente che con questo nuovo male dovremo imparare a convivere. Nato lontano, in qualche posto della sconfinata Cina, probabilmente da un putrido wet market dove, di punto in bianco, il virus è passato dall’animale (probabilmente un pipistrello) all’uomo. Un “salto” che gli scienziati chiamano spillover. E ora che è dentro di noi, annidato nel nostro corpo, sta facendo esplodere un male che purtroppo, nemmeno quando sarà scoperto il vaccino, potrà essere debellato.

Il coronavirus ha percorso migliaia di chilometri prima di arrivare in Italia. Era solo questione di tempo: era ovvio che prima o poi si sarebbe annidato nelle nostre vite. E quando ha iniziato a propagarsi a macchia d’olio, ha fatto subito esplodere il panico. Davanti all’unica arma per arginarlo, e cioè la creazione di “zone rosse” da cui non è più possibile uscire fino a nuovo ordine, in molti hanno reagito andando nel panico: fino a pochi giorni fa le code ai supermercati e gli scaffali svuotati da qualsiasi genere alimentare erano immagini di pellicole apocalittiche prodotte a Hollywood. Per alcune ore sono state anche la nostra realtà. Una realtà piegata dall’incubo del contagio e che ha spinto i più sensibili a chiudersi in casa. È su queste nostre paure che gli sciacalli si sono messi a speculare vendendo a peso d’oro generi irreperibili come l’amuchina.

Come sempre, il male si è sprigionato in un momento in cui tutti noi avremmo dovuto stringerci attorno a quei medici che lottano contro il tempo per fare in modo di evitare che il contagio abbia la meglio e per assicurare a chi sta male le cure migliori. Fa molto male assistere alle polemiche politiche di chi sta tristemente puntando il dito contro chi, invece, sta lottando in prima linea. Come fanno male certe vignette (quella di Vauro contro Salvini, tanto per intenderci) che usano il coronavirus solo per insultare. Come fanno pena quegli slogan contro i settentrionali a cui non si vogliono più affittare case per paura che possano portare in giro il virus. E siamo solo all’inizio.

Purtroppo, se col tempo impareremo a convivere col virus cinese, mai riusciremo a digerire certi colpi bassi che svelano il vero male che c’è nell’uomo. Un male che si fa più evidente nei momenti più difficili. Perché, come scrisse Albert Camus (seppur riferito ad altro contesto) ne La peste, “Rieux (…) sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili, e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui, per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice”.

E contro la peste dell’anima non esiste alcun vaccino.

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