Coronavirus

I catastrofisti del virus all'attacco

I catastrofisti del virus all'attacco

Stanno preparando la strada. Lentamente, ma lo stanno facendo. Nonostante i verbali del Comitato tecnico scientifico abbiano sollevato non poche perplessità sulla gestione dell’emergenza Covid, sono molti gli allarmisti che soffiano su una nuova, imminente chiusura. Lo fanno ormai da settimane: snocciolano dati catastrofistici, ipotizzano scenari terrificanti e studiano nuovi piani per (ri)chiudere, magari anche solo parzialmente, il Paese. “I positivi di oggi non sono per forza malati”, va ripetendo ormai da settimane il professore Alberto Zangrillo. Ma, sebbene porti numeri e casi scientifici, viene tacciato di “negazionismo”. Perché il gioco dei catastrofisti ormai è chiaro: tenere alta la paura nella popolazione per cercare di guidarla.

La prevenzione è una cosa seria. La mascherina? Va usata, per carità. E le mani vanno lavate. Ce le saremmo dovute pulire un po’ più spesso anche prima. E anche un po’ di distanziamento non guasta. Sono buoni accorgimenti che possono evitarci il contagio. Tutto sacrosanto e di buon senso. Ma senza drammatizzare. I casi in Italia non sono allarmanti, le terapie intensive non sono più congestionate e fortunatamente i morti si contano sulle dita delle mani. Nessuno vuole tornare ai numeri drammatici dello scorso marzo, ma bisogna stare davanti alla realtà. Con il senno di poi possiamo tranquillamente affermare che, quando è esplosa l’epidemia in Italia, il governo Conte ha toppato sulle tempistiche di intervento: non ha chiuso la Lombardia quando avrebbe dovuto e ha blindato tutto il Paese quando non serviva. Se qualcosa andava fatto, bisognava farlo a gennaio. Dopo è stato troppo tardi. Detto questo è comprensibile che nessuno (nemmeno all’Oms e tantomeno al ministero della Salute) era pronto ad affrontare un’emergenza del genere. Ma adesso sì. Sappiamo cosa fare. E l’allarmismo non è certo la ricetta giusta.

Nei giorni scorsi ad aprire le danze con gli allarmi è stato Walter Ricciardi, il professore che sussurra consigli al ministro della Salute, paventando una seconda ondata addirittura “prima dell’autunno”. “Camminiamo su una lama di rasoio”, ha detto. Ieri, poi, Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, ha rincarato la dose avvertendo che “se i contagi continueranno a salire i lockdown locali saranno inevitabili”. Poche ore dopo gli ha fatto eco la fondazione Gimbe, la stessa che durante il picco non ha fatto altro che bastonare contro la Regione Lombardia, denunciando “un trend in progressivo aumento dei nuovi casi” e proiettando sull’inizio dell’anno scolastico “lo spettro di una nuova chiusura”. E che dire di Pier Luigi Lopalco, l’epidemiologo messo a capo della task force della Regione Puglia e ora candidato con Michele Emiliano? Se ne è uscito dicendo che “i casi registrati fra luglio e agosto rappresentino l’innesco di una seconda ondata. Lo stesso innesco che a febbraio, semplicemente, non abbiamo rilevato e che poi ha provocato la grande ondata”.

Mentre i suoi colleghi fanno allarmismo inutile, il virologo Fabrizio Pregliasco si è, invece, scagliato contro il “negazionismo pesante e strisciante”, quello portato avanti da chi non la pensa come loro. E non sono pochi. Secondo Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, la vera emergenza che si profila all’orizzonte non è tanto la seconda ondata quanto la psicosi della malattia che rischia di congestionare gli ospedali e gli studi medici. “Se continuiamo a dire ‘Ti viene il Covid, sei fritto e muori’, sa cosa succede? Che il primo a cui viene uno starnuto, o 37,2 di temperatura, corre al pronto soccorso. Questo vorrà dire per noi saltare per aria”. Anche Maria Rita Gismondo nel suo ultimo libro, pur avvertendo dei rischi di un’eventuale nuova epidemia (da qui a otto-dieci anni), si è detta scettica su una possibile recrudescenza del Covid-19.

In un momento tanto delicato vale la pena spargere panico a destra e a manca? O forse è meglio sì consigliare i cittadini a stare attenti ma senza drammatizzare? Il tutto esponendo a ulteriori rischi il vero malato d’Italia: l’economia. L’impatto di un altro lockdown potrebbe rivelarsi fatale per il nostro sistema economico. Per questo tecnici e studiosi hanno il dovere di soppesare meglio le proprie parole.

Il governo, che si dice tanto preoccupato per l’aumento dei contagi ma che non fa nulla per evitare che questi si propaghino tra i clandestini che continuano a sbarcare ogni giorno, non dovrebbe usare l’emergenza per tirare a campare.

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