Elezioni a data da destinarsi
Ogni scusa è buona per non farci votare, per rimandare, per aspettare, perché tanto per la democrazia c’è sempre tempo e ci sono ben altre priorità nel paese (maiuscola ormai persa da tempo) del benaltrismo e della dabbenaggine. Una volta c’è il semestre europeo, un’altra la legge finanziaria (chiamarla di stabilità è un ossimoro), un’altra gli aruspici che aspettano di capire il momento opportuno dalle viscere di qualche capra.
Oggi se ne escono che mica possiamo votare durante il Giubileo, meglio aspettare più di un anno per farci eleggere il sindaco di Roma. Certo, sia mai che il pellegrino paraguaiano si trovi in difficoltà sulla metro e non sappia se prendersela con un assessore eletto anziché col commissario straordinario. Renzi butta Zanda in avanscoperta con questa fesseria e quasi passa sotto silenzio, se non ci fosse almeno Brunetta a ricordargli che le uniche elezioni che si possano posticipare sono quelle politiche e solo in caso di guerra, in base alla Costituzione più stracciata del mondo. Il Giubileo sarà l’ennesima tortura per i romani, ma da qui a definirlo una guerra ce ne passa.
Tanto noi ci siamo talmente assuefatti a queste strane mitologie da elezioni a data da destinarsi che non ci facciamo più caso quando ci dicono, ai primi di ottobre, che bene che vada si vota a maggio, purché sia primavera. Forse storciamo appena il naso se rinviano le elezioni di un anno, ma non ci poniamo domande se ci propinano 8 mesi di attesa. E perché tanti mesi, di grazia? Qualcuno mi sa spiegare i motivi reconditi per cui non si possa votare in autunno o in inverno? Abbiamo forse paura dell’influenza, di scivolare sul ghiaccio recandoci alle urne o magari crediamo che si voti meglio quando la Natura si risveglia e gli ormoni svolazzano nell’aere?
Perché va bene abituarsi ai luoghi comuni, ma ogni tanto ragionare e guardarsi intorno male non fa per non farsi abbindolare. E allora ripensi alle elezioni organizzate in pochi mesi in Iraq ed in Afghanistan in piena guerra, all’assemblea costituente della Tunisia eletta 9 mesi dopo la deposizione di Ben Ali, al referendum costituzionale svoltosi in Egitto un mese, dico un mese, dopo la deposizione di Mubarak in Egitto e le elezioni fatte dopo altri 9 mesi, senza considerare che nel 1990 Slovenia e Croazia hanno organizzato le elezioni in 3 mesi da che avevano deciso di rendersi indipendenti dalla Jugoslavia. E magari pensi che ci hanno messo tanto perché erano Paesi allo sfascio, per nulla abituati alla democrazia, manco sapevano cosa fossero delle elezioni libere, eppure le hanno organizzate in quella che per noi italiani è una campagna elettorale di minima durata.
Ma è se resti in Europa che capisci che proprio i conti non quadrano, anzi se vai dove la democrazia dicono di averla inventata (era un’oligarchia, ma tant’è, lasciamoglielo credere). Tutti a osannare quel mito farlocco di Tsipras, ma c’è solo una cosa che dovreste imparare da lui: si è dimesso il 20 agosto di quest’anno e ha fatto le elezioni dopo esattamente un mese, un solo mese. Senza considerare peraltro il famigerato Oxi-referendum organizzato in 8 giorni. Dico io, sarà stata anche una farsa di cui non hanno tenuto conto, ma un Paese al collasso, senza un soldo, ha messo su una macchina elettorale con gli occhi di tutto il mondo puntati addosso in una settimana. Una settimana.
E allora non vi vergognate nemmeno un po’ a spacciarci per normale una campagna elettorale di 8/15 mesi per votare a Roma? Questo sì che sarebbe destabilizzante in concomitanza col Giubileo, non certo un sindaco ed una giunta regolarmente eletti in un’elezione che, volendo, si potrebbe tranquillamente fare anche prima dell’8 dicembre. Perché, se ci sono riusciti in Grecia dove non avevano neppure i soldi per stampare le schede, vorrete mica farci credere che ci voglia più tempo per far votare una sola città?
Ma poco importa a lor signori se in questi due anni di sfacelo sinistro Roma non è stata amministrata, ma lasciata in balìa di eventi, topi e malaffare, se aspettiamo disperatamente qualcuno che si assuma finalmente la responsabilità di provare quanto meno a governarla forte di un mandato popolare. Solo un sindaco eletto, infatti, se la può assumere davvero perché deve rispondere ai suoi elettori di quel che fa e per questo lo vogliamo scegliere noi.
Voglio un voto davvero popolare, sì, sull’onda dell’indignazione, e non perché penso che vinca chi vorrei io, ma perché non voglio che i soliti gruppi di potere abbiano il tempo di spartirsi le macerie nel tipico clientelismo italiano. Più dura la campagna elettorale, più prevalgono i compromessi, le nomine spartite, la scelta di quello che è in grado di mettere d’accordo le varie coop, le onlus, i sindacati di Atac e Ama, i tassisti, Sant’Egidio e il Vaticano elargendo posti, prebende, promesse, appalti a tutti coloro che hanno mangiato in questi decenni sulla città. Indìci le elezioni in un mese e saranno costretti a trovare un vero capobranco, uno che sappia raccogliere il consenso dei veri elettori, i cittadini, quelli che gli autobus li devono prendere e non guidare, quelli che vogliono vedere le strade ripulite e senza buche, la spazzatura e le foglie raccolte, il traffico regolamentato, i posteggi aumentati, le case sicure, le strade illuminate, e quelle poche basilari necessità per rendere la città vivibile. Poche idee, ma concrete, senza compromessi.
Ecco perché lor signori le elezioni le temono come la peste, devono riorganizzarsi per convincere i soliti gruppi di potere e non temere troppo che la rabbia popolare falsi i loro giochetti, vogliono piazzare il solito pseudo-tecnico che non risponde a nessuno di quel che fa e che sperano faccia dimenticare i disastri causati dal PD a Roma. Perché se se la cava bene, il merito se lo piglia Renzi che l’ha piazzato lì, se va male la colpa è solo sua. Sono stufa di commissari che rispondono solo al proprio egocentrismo e a chi li ha calati dall’alto. Di dictator ne facciamo a meno, grazie.
Ci aveva provato anche Napolitano con Monti, d’altronde, e si è visto come è andata a finire. Lui il risultato lo ha ottenuto: far passare abbastanza tempo per evitare che Berlusconi vincesse le elezioni se si fosse andati a votare subito dopo il golpe del 2011. Che ci abbia distrutto, svenduto e che ancora paghiamo le conseguenze di questo alto tradimento a lui poco importa, perché la democrazia non è mai stata nelle sue migliori corde.
Vogliamo forse ripetere l’esperienza anche a Roma?