Una vittoria persa
Era davvero a portata di mano la vittoria, mancavano pochi punti percentuali per arrivare alla maggioranza dei seggi. Le condizioni erano favorevoli. Una politica dei governi di sinistra che aveva distrutto, impoverito e nauseato, confermata dalla sonora sconfitta, non solo di Renzi, ma di tutta l’accozzaglia di presidenti di camera, senato e governo (le minuscole sono volute).
C’era il timore di tanti italiani di ritrovarsi un governo di incompetenti ancora più statalista e parassitario di quelli avuti finora.
Ancora i seggi assegnati non sono chiari e ogni scenario è possibile, per cui è presto per ipotizzare qualsiasi soluzione governativa, ma di certo la destra (odio la parola centro) ha perso la possibilità di vincere e governare da sola e le cause si potevano prevedere.
Cos’è mancato? Cos’è stato di troppo.
Lo dicono i numeri, lo dicono la logica e la storia recente.
La politica non è matematica, i voti dei traditori non si sommano, ma si sottraggono. Per l’ennesima volta Berlusconi ha raccattato i disperati della poltrona, quelli che si alleerebbero con chiunque pur di stare al governo, quelli che in questi 5 anni hanno fatto più salti di una quaglia in calore pur di avere uno strapuntino.
Li hanno chiamati la quarta gamba, ma era una gamba in cancrena, da amputare, che ha invece infettato tutta la coalizione. Non solo hanno a malapena portato i voti dei quattro clientes che gli sono rimasti, ma hanno reso meno credibile l’intero progetto di governo, facendo perdere una marea di voti a Forza Italia, punendo proprio Berlusconi per averli riesumati. Non a caso Lega e FdI, considerati meno propensi ai tradimenti, non ne hanno risentito.
Non dico che l’idea della quarta forza di coalizione non fosse buona, né che non ci fossero anche persone valide che non hanno mai tradito, ma l’intero gruppo ha pagato l’infamia dei vari (ir)responsabili.
Cos’è mancato per vincere? Due parole: libertà e novità.
Le grandi assenti della coalizione di destra sono state ciò che ha fatto perdere una vittoria che poteva essere facile.
In tutto il mondo, non solo in Italia, la novità è un elemento fondamentale per spostare voti. Il risultato del M5S non fa che confermarlo. I programmi contano fino a un certo punto, perché nel dettaglio non ci va nessuno, le promesse allettano, ma in pochi ci credono ancora, gli ideali sono spariti e non trascinano più.
Resta un generalizzato senso di nausea per tutto ciò che è vecchio, già visto, già provato, che ha già deluso, a cui tanti elettori rispondono con un “proviamo qualcuno di nuovo, chiunque esso sia”. Che poi le idee siano le stesse che hanno portato alla fame milioni di persone poco conta, proprio perché questo tipo di elettorato i programmi non li guarda e non crede alle promesse di nessuno. Ciò che vuole è cambiare, anche a rischio di cambiare in peggio.
I candidati di NcI puzzano di muffa da prima repubblica lontano un miglio, ma anche i candidati di FI tutto apparivano tranne che nuovi, anzi. Hanno puntato sulle solite facce, sui soliti politici visti e rivisti in tv, sui soliti capibastone e sui loro lacchè, quelli hanno allontanato la maggior parte dei militanti dai loro potentati locali. E non importa che tanti fossero validi e meritassero di essere in lista, ma l’errore è stato proprio non affiancare qualcuno di nuovo, di credibile, che sapesse di futuro e non di stantio.
Purtroppo si è scelta la fedeltà a scapito della novità, senza capire, dopo tanti anni di tradimenti, che gli unici che non tradiranno mai non sono i fedelissimi al capo, ma i fedelissimi alle idee.
E poi la grande assente è stata la parola che più ha attratto voti alla destra in questi decenni: la libertà.
Sono mancati i candidati che parlassero di libertà e soprattutto ci credessero. C’è una ampia fetta di elettorato che non ha trovato chi la facesse credere ancora in uno Stato minimo, con meno tasse, meno spesa pubblica, meno debito pubblico, meno pensioni retributive, meno partecipate statali, meno municipalizzate, meno dipendenti pubblici, meno giustizialismo, meno burocrazia, meno stato di polizia fiscale, meno servizi pubblici scadenti e strapagati, meno monopoli statalisti, meno limitazioni della libertà.
La soluzione per vincere c’era e ne scrivevo già qui un anno fa: si poteva e si doveva unire la libertà con la novità. La quarta gamba non doveva essere formata dai traditori, ma da una confederazione che riunisse in modo trasparente e democratico tutta la miriade di movimenti e associazioni che proliferano in Italia intorno all’unico ideale per cui valga la pena lottare, la libertà. Tutte persone valide che non hanno mai trovato spazio nelle logiche dei partiti maggioritari, perché fedeli alle loro idee, anziché ai capipartito, che sarebbero stati davvero nuovi e liberi.
E allora sì che i voti si sarebbero non solo sommati, ma moltiplicati, perché la politica è un’opinione.