È comprensibile. Alla fine tra i greci ha in qualche modo prevalso, anche grazie alla legge elettorale e al premio di maggioranza ottenuto dal conservatori di Nuova Democrazia, il timore dell’ignoto: la paura del salto nel buio. Con il voto espresso nelle urne, il popolo greco si appresta ad accettare in un modo o nell’altro le condizioni dell’Europa e i diktat della signora Angela Merkel. In parte tutto questo è logico, perché in un club si devono rispettare le regole o andarsene, ma solo il futuro ci dirà se il voto moderato e benpensante che è stato espresso ad Atene sia davvero una buona notizia.

L’euro esce più forte dalla scadenza elettorale ellenica, dato che al momento l’ipotesi di una rinascita della dracma è forse accantonata, ma tutti gli altri problemi rimangono intatti. In particolare, il prevalere dei partiti più accondiscendenti spinge la Grecia a perdere ogni autonomia politica ed economica. Non bisogna dimenticare che la condizione implicita che l’Europa “forte” ha messo in chiaro per continuare a mantenere i Pigs nell’area dell’euro è che ci si incammini verso un’integrazione sempre maggiore.

La Grecia tiene la moneta unica, ma il prezzo da pagare è l’adozione di misure molto drastiche. Di per sé la cosa non è un male (se questo volesse dire meno Stato e meno tasse: il che non è detto), ma sul piano sociale aspettiamoci  che le tensioni crescenti, che comunque ci sarebbero state, siano attribuite ai tedeschi e all’Europa. Con la vittoria dei conservatori, la Grecia resta attaccata all’Europa, ma di fatto si predispone a interpretare il ruolo di una sorta di colonia interna: un Paese che da un lato è finanziato e assistito, ma dall’altro è commissariato. Quello che accadrà in Grecia, comunque, si riproporrà un po’ ovunque nell’Europa “sbagliata”, che certo – questo è il mio parere – farebbe bene a sbagliare da sola, a proprie spese, e farebbe bene ad apprendere dai propri errori.

Per giunta, mantenere in Europa la Grecia (e di conseguenza pure la Spagna, il Portogallo, l’Italia…) spingerà Bruxelles a costruire un potere centrale sempre più forte, tale da sottrarre ogni autonomia di decisione alle classi politiche nazionali. Tutti ormai chiedono di passare agli Stati Uniti d’Europa, senza avvedersi dei rischi connessi a una simile scelta: a un progetto talmente artificioso, nemico della storia (dato che l’Europa ha la sua identità nel pluralismo, e non nell’unità), tendendente a deresponsabilizzare sempre più i diversi attori. Invece che far saltare i vecchi Stati grazie a una moltiplicazione delle giurisdizioni, ci si orienta insomma nella direzione opposta. Non si predispone l’Europa dei cantoni svizzeri e delle libertà locali (che permetterebbero bassa tassazione e bassa regolazione), ma ci si incammina quasi senza avvedersene verso l’Unione delle Repubbliche Socialiste d’Europa. E questo perché il destino che si profila è quello di un continente con una concorrenza istituzionale sempre minore e una centralizzazione politica crescente.

Non ne siamo veramente consapevoli, ma probabilmente stiamo entrando in un incubo.

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