Voto, rapina sistematica e unità nazionale
Dopo che la quaterna inflitta agli azzurri dalla nazionale spagnola ci ha evitato dosi massicce di retorica e patriottismo in salsa post-comunista, può essere opportuno interrogarsi su una questione di non poco conto, sottesa a molti dei discorsi fatti e sentiti nelle scorse settimane.
Il dovere di essere schierati con l’Italia, anche in una partita di football, da dove proviene? Semplice: dal timore che un Paese costruito essenzialmente dal caso e da alcune guerre di conquista otto-novecentesche (il Sud Tirolo è italiano solo perché l’impero asburgico ha perso la prima guerra mondiale) possa sgretolarsi nel momento in cui viene meno ogni collante sentimentale. Ma cosa c’è di razionale in tutto ciò? Che esiti produce, sul piano dei rapporti sociali e dello sviluppo economico? Tutti questi interrogativi vengono accuratamente evitati, insieme a un altro, che non mi pare di poco conto.
I nostri sistemi politici pretendono di legittimarsi sulla base di un voto democratico. Perché Mario Monti è al governo? Perché gode del favore dei parlamentari eletti dagli italiani. C’è chi considera questo sostegno un tradimento della delega elettorale, ma è pur vero che nei nostri sistemi rappresentativi gli eletti dispongono di un mandato “senza vincolo”. Possono, insomma, fare quello che vogliono.
Il voto è comunque decisivo all’interno del sistema, ma raramente si coglie che c’è un elemento cruciale che va focalizzato: ed è l’area di quanti hanno titolo a votare ed essere eletti, per poi essere regolati e tassati dall’autorità politica che contribuiscono a costituire. In quello che probabilmente è il maggiore studioso liberale del Novecento, Bruno Leoni, ci sono taluni passaggi in cui – utilizzando Lawrence Lowell – si evoca la situazione di un viaggiatore che s’imbatta in una banda di predoni, la quale decida di mettere ai voti una serie di cose e in primo luogo la titolarità dei soldi del malcapitato.
La “collettività” che prende forma in quel momento, composta dal viaggiatore e dai rapinatori, vede il primo trovarsi in una posizione minoritaria (dato che egli vuole difendere i propri soldi), ma è pur vero che questo non conta molto di fronte alle pretese del gruppo maggioritario.
Ecco: è chiaro che molti italiani si sentono sempre più nella condizione di quel viaggiatore. Se ogni lavoratore lombardo deve ogni anno rinunciare a 11 mila euro di reddito netto a causa del fatto che si trova in Italia (una cosa che non ha mai scelto e su cui gli viene impedito di votare), è normale che si consideri nella situazione descritta da Lowell e Leoni. E che egli guardi con sempre più sospetto una democrazia in cui si può votare su tutto meno che sulle tasse e sulla possibilità di giocare ancora a questo tavolo o di spostarsi su un altro.
http://video.repubblica.it/dossier/mediaset-sentenza-cassazione/la-lettera-di-napolitano-ieri-un-fatto-politico-inquietante/141087/139625
Credere nello Stato ? Domanda retorica, risposta scontata. Il vero dilemma è: esistono alternative credibili allo Stato ? Penso di proprio di no. Credere nello Stato è un’esigenza etica, una fede laica che si rende necessaria nel momento in cui l’uomo fuoriesce dal caos e si dota di una struttura atta a riconoscere i suoi diritti, tutelare le sue libertà e offrirgli ( dietro corrispettivo ) dei servizi. Lo stato non è l’unica forma di organizzazione politica sperimentabile e sperimentata, ma è forse quella più razionale e tecnicamente raffinata.
Che l’Italia sia il frutto fortuito di alcuni accidenti storici non è condivisibile : lo Stato unitario è figlio di una lunga e travagliata gestazione mentre la nazione italiana esiste dal medioevo ed è la risultante di una serie di apporti etnici durata millenni.
Credere nello Stato è vitale, nonostante la corruzione, i provvedimenti odiosi, le scelte demenziali e le inefficienze.
Non sono uno statalista ma un liberale. Credo che il primato del singolo sulle sovrastrutture di ogni tipo possa essere raggiunto senza bisogno di teorizzare scenari anti statuali o post statuali, ma “semplicemente” conducendo una politica genuinamente liberale entro il perimentro del sistema esistente.
Scusate il conservatorismo.
Caro Lottieri, d’accordo su quasi tutto… eccetto che su
“…si trova in Italia (una cosa che non ha mai scelto e su cui gli viene impedito di votare)…”
Forse non ci potrà “votare” sopra, ma sicuramente potrà adottare scelte che lo porranno al di fuori della realtà che aborre… 💡
Scritto da un fiorentino “in esilio”, da un paese che oggi celebra il 236mo anniversario delle sua indipendenza… cheers! 😆
Perfettamente d’accordo; in un senso più generale, credo si riveli ormai difficile non ravvisare nella “rappresentanza politica” una mera « … veste – o formula legittimante – che la modernità fa indossare al governo dei pochi sui molti … » o, per altro verso, nel ravvisare – a seconda di una considerazione già tratta nella seconda metà del XIX secolo – sostanziarsi l’effettiva natura del correlativo rapporto di mandato elettorale in quella di una mera “fictio juris”, intesa a fondare nei cittadini una falsa sicurezza circa il fatto di poter credere di essere realmente loro « … a darsi delle leggi e ad imporsi delle contribuzioni e che la volontà dei deputati sia la loro volontà … ».