A vent’anni da una secessione di successo. Dopo la Cecoslovacchia
Vent’anni dopo. Risale infatti al gennaio 1993 la separazione consensuale tra cechi e slovacchi e, di conseguenza, la dissoluzione di quella che fu la Repubblica cecoslovacca. Per affrontare quest’episodio storico e molte delle sue implicazioni nel febbraio scorso all’università di Milano si è tenuto un convegno internazionale sul tema e ora, grazie all’editore Maggioli, gli atti di quel convegno sono a disposizione del pubblico.
Il volume – intitolato Il ventennale dello scioglimento pacifico della Federazione ceco-slovacca. Profili storico-politici, costituzionali, internazionali (226 pagine e in vendita a 22 euro) – è stato curato da Angela Di Gregorio e Alessandro Vitale e permette di accostare tale questione sotto vari punti di vista.
Molti tra temi affrontati dagli autori dei contributi possono stare a cuore solo a quanti seguono da vicino queste società e, più in generale, l’universo politico e culturale della Mitteleuropa. Ma non mancano suggestioni che vanno ben al di là di questo caso specifico. La separazione di velluto tra cechi e slovacchi sembra per certi aspetti anticipare un processo più ampio e si colloca, a sua volta, entro una più generale dissoluzione degli Stati europei.
Come sottolinea Alessandro Vitale nel suo saggio, “circa il 60% degli Stati attualmente esistenti in Europa ha conquistato l’indipendenza nel corso del Novecento e del primo decennio del ventunesimo secolo, dalla Norvegia (1905) al Kosov, all’Abchazia e all’Ossetia meridionale, in seguito a una secessione da uno Stato preesistente”. Da ciò che ne discende che “la conquista dell’indipendenza e la formazione di nuovi attori statali in Europa è pertanto – di fatto – la norma, non l’eccezione”. Da dove viene tutto questo? Deriva senza dubbio dall’evidente “indebolirsi di concezioni cristallizzate relative all’immutabilità degli Stati, alla loro ‘eternità’ – che corrisponde al contenuto stesso del principio politico-dottrinale della sovranità sin dal suo formarsi – e il superamento di una concezione rigida della statualità moderna europea”.
Quali che fossero vent’anni fa le ragioni che hanno spinto gli slovacchi a chiedere l’indipendenza (a cui i cechi non si sono in alcun modo opposti), oggi sembra chiaro che la dissoluzione dello staterello inventato da Tomas Masarik sulle ceneri dell’impero asburgico sia da considerarsi un successo. Indipendenza significa responsabilità, concorrenza istituzionale, varietà normativa, riduzione dei motivi di conflitto.
Come afferma Vaclav Sedy, direttore del centro ceco di Milano fino al 31 luglio 2013, “dopo la separazione la Slovacchia, meno popolata e con strutture economiche più fragili, ha dimostrato una doppia capacità di crescita rispetto alla parte ceca più ricca e più industrializzata”. In altre parole, la disgregazione dell’unità ceco-slovacca ha favorito tutti, ma soprattutto l’area meno avanzata. E le ragioni le dà Dusan Kovc-Petronsky (slovacco e professore di italiano) con queste parole:
durante gli ultimi 20 anni gli slovacchi hanno fatto un notevole balzo in avanti rispetto all’assunzione di questa responsabilità. Sebbene possa sembrare banale, la necessità di affidarsi liberamente “a se stessi” è stata per gli slovacchi una cosa nuova da affrontare: una prova di esistenza autentica e non convenzionale.
Grazie all’indipendenza, gli slovacchi hanno smesso di essere la “parte debole” di un qualcosa più ampio e hanno dovuto essere loro stessi. Hanno dovuto affrontare i problemi e cercare di risolverli. E oggi i rapporti tra cechi e slovacchi non sono affatto peggiorati. Anzi. La separazione è avvenuta senza tensioni e conflitti con gli ex-concittadini, così che oggi – come sottolinea Kovac-Petrovsky – “gli ottimi rapporti tra la Slovacchia e la Repubblica ceca giustificano molto bene la divisione del 1993”.
In un certo senso, la fusione artificiosa tra cechi e slovacchi è stata tra le ultime “unificazioni” che hanno segnato la storia dello Stato moderno. Non è sorprendente che, anche in ragione della dissoluzione del sistema comunista nell’Europa centro-orientale, sia stata propria questa invenzione politico-istituzionale a saltare prima di altre. Ma come spiega assai bene Vitale nel suo scritto, la disgregazione cecoslovacca parla della non tenuta degli Stati nazionali e, ancor più in origine, degli Stati moderni.
Nel 2014 ai cittadini della Scozia e della Catalogna sarà chiesto di esprimersi, con un voto, sull’unità della Gran Bretagna e della Spagna. Si profilano all’orizzonte altre secessioni di velluto.
http://translate.googleusercontent.com/translate_c?depth=1&hl=it&prev=/search%3Fq%3DOver%2Bthe%2Byears,%2BItalians%2Bin%2Bthe%2Bnorth%2Band%2Bsouth%2Bsplit%2Bprivileges,%2Bto%2Bthose%2Bwho%2Bhave%2Bbenefited%2Bthe%2Bmost.%26client%3Dfirefox-a%26hs%3Dhj4%26rls%3Dorg.mozilla:it:official%26channel%3Dsb&rurl=translate.google.it&sl=en&u=http://en.wikipedia.org/wiki/File:Developed_nation_edit1.svg&usg=ALkJrhhB2yYkNRWekKtJ2_KsKky7nJ68FQ
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Paesi descritto come alto reddito e le economie avanzate dalla Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale
Zeneise: credo che, in principio, la si veda allo stesso modo. L’assistenzialismo é un male comune e droga imprese e popoli. Non mi piace la politica di svalutazione ma non credo che si possa rinunciarvi quando le politiche imposte da fuori ti vogliono “buono e a cuccia”. Per quel che si riferisce al denaro speso in Slovacchia il problema é la deliberata mancanza di controllo per ragioni politiche. In Italia succede lo stesso con il denaro speso al sud. Credo che di ogni 10 € di denaro pubblico 9 € vengano “buttati”, in Italia come in Slovacchia. A domani sera.
Per Toni (ancora). Cosa vuol dire “cosa conta la Slovacchia in Europa?”. Non lo so… e non mi interessa. Cosa conta il Lussemburgo? Cosa conta l’Irlanda? Cosa contano i cantoni svizzeri e il Liechtenstein, che se ne stanno pure fuori? Niente.
Ma stanno bene e hanno redditi alti.
A me non interessa molto la politica di potenza… diversamente guarderei alla Russia di Putin. Mi interessa che la gente possa lavorare e stare bene. Nelle realtà piccole è più facile.
Per Toni. Io sono stato in Cecoslovacchia solo al tempo del socialismo e tutto era un disastro, rispetto a noi. Non escludo che la situazione slovacca sia ancora terribile, ma non si può dire che l’indice della Heritage sia scadente, perché in realtà è molto ben fatto e attendibile. Ovviamente misura l’indice di apertura al mercato, e non lo sviluppo (che segue quale conseguenza, ma nel corso del tempo). Certo che se ritieni che svalutare possa aiutare e che bene faccia Praga a sostenere in quel modo l’export… beh, forse allora ragioniamo in maniera molto diversa… Se guardi comunque l’indice nel dettaglio vedi pure che la Slovacchia ha un voto molto basso in termini di corruzione, ma voti abbastanza alti nel resto… http://www.heritage.org/index/country/slovakia
Ad ogni modo il problema è un altro: sarebbe stato meglio se la Slovacchia fosse stato il Mezzogiorno di Praga? Purtroppo ora ci sono i fondi europei, certo, che fanno danni. Ma credo che per gli slovacchi sia meglio avere i fondi europei e solo quelli, invece che avere i fondi europei più quelli cecoslovacchi.
Da liberale, penso che essere chiamati a lavorare e mantenersi da sé sia sempre preferibile. L’assistenzialismo uccide.
Zeneise: non per fare polemica ma chi scrive vive e lavora da 12 anni a 30 km. dalla frontiera slovacca e mi ci reco spesso (in Slovacchia) per lavoro come in Italia ed altrove. Al di lá delle classifiche che vengono stilate ovunque per ragioni di comodo resta la realtá delle cose. La politica protezionistica dei padrini locali (analoga a quella della Repubblica Ceca) e l’impossibilitá di gestire una propria valuta (a differenza dei cechi che stanno svalutando di brutto, in questo periodo, le loro corone per garantire un minimo di export) stanno facendo sfracelli nell’economia slovacca. Questo il mio giudizio, puó sempre venire a farsi un giretto e giudicherá rapidamente e facilmente da solo. Il punto credo che fosse giudicare la convenienza o meno di una secessione. Le chiedo rispettosamente: cosa crede che conti uno stato di 5 milioni di abitanti a Bruxell? cosa crede che conti uno stato che ha rinnovato le sue infrastrutture fuori Bratislava solo a colpi di ISPA, PHARE, e fondi di coesione e strutturali? …uno zero a sinistra?
In realtà, la Slovacchia ha fatto enormi progressi (nonostante una classe politica molto modesta… ma non peggiore della nostra) sulla strada delle libertà economiche. L’apertura al mercato è molto significativa e nella classifica della Heritage Foundation sui paesi meno illiberali si colloca dinanzi alla Francia, alla Spagna, alla Croazia e – naturalmente – all’Italia. Essendosi aperta al mercato, nonostante i fondi europei sta vedendo crescere un settore privato di un certo rispetto. http://www.heritage.org/index/ranking
fritz1996: la Slovacchia non ha trovato stimoli bensí il denaro dei vari programmi preadesione UE (ISPA e simili) e successivamente denaro dai fondi di coesione e strutturali. Hanno ricevuto, in proporzione molto + denaro che i cechi che avevano giá privatizzato molti settori e che quindi non potevano beneficiarsi di tanto denaro UE. Il risultato “economico” di questo assistenzialismo UE é stato paragonabile all’assistenzialismo socialista: una gran fetta della popolazione si é, se possibile, ulteriormente rilassata con il denaro facile ed, oggi, i servizi, in Slovacchia sono in mano a 4 “Padrini”, carissimi e di pessima qualitá. La popolazione e le imprese vengono oberate di tasse per mantenere il bilancio in linea con quanto richiesto da Brussel (a differenza dei cechi che hanno mantenuto le CZK gli slovacchi hanno dovuto inghiottire l’€ in cambio degli aiuti). Personalmente sono convinto che la UE li porta (e non solo agli slovacchi) a una visione riveduta e corretta del socialismo economico con la differenza che stavolta, psicologicamente, non ci sará neanche la speranza di un cambio.
Da noi il Nord,con la separazione, potrebbe crescere mentre il sud in larga parte assistito, clientelare e para mafioso, sprofonderebbe ulteriormente. Un altro commentatore non vede nessun happy end. Nemmeno io, per quel che conta. Il problema è il debito pubblico mostruoso. Chi lo paga? Il sud che ne è la causa principale se non l’unica? Mah! Come hanno risolto il problema del debito cechi e slovacchi? Nell’articolo non si dice. Sarebbe interessante saperlo. Magari non avevano debito estero o è stata trovata una soluzione. Onestamente, chiedere ad un giornalista di accennare alle cose importanti, ammesso che siano state trattate nel consegno, è come chiedere di raddrizzare le gambe ai cani
E allora fatta una Patria sene possono fare due. E’ vero sono il primo a dire che questa Italia è amministrata da trent’ anni da gente che definire pasticciona è troppo. Hanno aumentato il debito pubblico e hanno distrutto quel senso di unità tra gli italiani che faticosamente era stato costruito. Non li perdonerò mai per questo. Ma non possiamo dimenticare i morti ed i feriti per l’ Unità del nostro paese. E non possiamo dimenticare come dopo la seconda guerra mondiale ci furono politici che profusero grandi sforzi per la ricostruzione dell’ Italia. Tra tutti Alcide De Gasperi. Lottieri lei che ne pensa? Un affettuoso augurio di buone feste. Max Piras
Dunque, dopo la secessione, la parte più debole e povera dell’ex-stato federale, e cioè la Slovacchia, ha trovato nell’indipendenza gli stimoli e la volontà per crescere di più. Immaginiamo di trasporre la vicenda in Italia: il Nord se ne va, e il Sud, rimasto solo… no, credo proprio che in questo caso non ci sarebbe nessuna happy end!
Il termine separazione consensuale mi sembra fuori luogo per la Cecoslovacchia. Nel 1992 Klaus e Meciar si incontrano a Brno e da “Padrini” decidono di spartirsi il territorio senza chiederlo ai loro peraltro passivi cittadini/pecorelle. Klaus voleva essere il “Padrino” di una pseudoeconomia di mercato. Meciar voleva continuare da “Padrino” in Slovacchia con l’illusione socialista da scenografia. Il primo é riuscito a creare il suo “pollaio” utilizzando un numero crescente di legalitá illegittime comunque ormai, persa la presidenza, é fuori gioco. La sua popolaritá nelle ultime elezioni (partito “Hlava vzhuru”) é stata prossima a zero. Il secondo é stato inevitabilmente fatto fuori dal corso della storia dopo essere riuscito a trafugare un discreto malloppo all’estero. Credo che ogni divisione politica abbia la sua storia e che difficilmente si presti a paragoni se non interessati. La divisione della Cecoslovacchia (inutile se non dannosa ed illegalmente non suffragata da un referendum) non penso che debba costituire un esempio per nessuno. che desideri vivere in un mondo …. (parolone)… democratico.
Carlo Lottieri, una separazione consensuale e la cosa più normale, logica e frequente del mondo, la vediamo tutti i giorni: una coppia che, sposata in preda ad infatuazione o sogno, quando poi si trova a doversi confrontare nella realtà e scopre diversità individuali incompatibili (progetti, ideali, educazioni, visioni…), incomincia a ragionare in termini di convenienza, a valutare i vantaggi personali che deriverebbero dal rendersi indipendenti e si separa. Se la coppia è intelligente e rispettosa lo fa in modo pacifico.
Non vedo differenze nell’applicare la stessa cosa ad uno stato. Si deve mettere in discussione la “sacralità” dell’unione statale e dell’istituzione “stato”, ma anche nel matrimonio lo si fa: si ridimensiona e annulla, la sacralità dell’unione e dell’istituzione matrimonio. Ma nessuno si scandalizza. Infatti non c’è nulla da scandalizzarsi.
Cos’ha lo stato di diverso per non poter intraprendere quel percorso?
Niente.
Anzi, dovrebbe essere persin più facile da accettare poiché, se nel caso del matrimonio molti chiamano a garante Dio, nel caso dello stato questi non compare quindi non influenza e non inibisce.
..allora facciamolo!
Un saluto .