Abolire la precarietà è abolire la vita
Riporto anche qui un mio recente intervento apparso nel sito del Centro studi “Impresa Lavoro”. Si parla del rapporto tra il lavoro e l’esistenza nel suo insieme, tra i nostri sforzi orientati a servire il prossimo e le difficoltà che sono proprie della condizione umana, che è precaria per definizione.
Abolire la precarietà è abolire la vita
di Carlo Lottieri
Chiunque appaia in televisione o in un qualunque altro luogo atto a dibattiti e ponga sotto accusa la condizione precaria in cui si trovano le giovani generazioni è destinato ad avere la meglio: basta che parli della “dignità” della persona umana e metta atto accusa il sistema liberale, per definizione “spietato e senza regole”.
Eppure – a ben guardare – la polemica contro la precarietà del lavoro è una battaglia contro la vita, il mutamento, lo sviluppo. Essa esprime la pretesa di costruire un mondo di impiegati delle poste, i quali gestiscono pacchi fermi nei depositi e cartoline mai arrivate a destinazione. Sia chiaro: come avrebbe detto il comico Catalano quando spopolava con le sue ovvietà nel salotto di Renzo Arbore, “è meglio avere un posto di lavoro stabile e ben pagato piuttosto che uno insicuro e mal retribuito”. Bisogna però chiedersi se questo sia sempre possibile e a quali condizioni. Una riflessione sulla precarietà, per giunta, esige che ci si domandi per quale motivo in una società di mercato ogni status è instabile e suscettibile di essere spazzato via.
La radice di tutto è la libertà umana. Se non vengono coartati o rinchiusi in un guLag, gli uomini tendono a decidere sulla base delle loro preferenze. Il susseguirsi dei giorni e delle settimane ci vede compiere scelte assai diverse e – ad esempio – se un tempo ci piaceva un dato gruppo rock, è possibile che poi ci appassioni alla musica barocca. E lo stesso si può dire per ristoranti, barbieri o fruttivendoli. Per questo motivo sul libero mercato nessuna impresa può essere sicura che esisterà tra un anno, dato che il perdurare di ogni attività è strettamente connesso al mutevole favore espresso dai clienti (spesso condizionato dallo stesso evolvere delle tecnologie e dall’arrivo di soggetti più abili nell’intercettare le attese del pubblico). Se le imprese che costruivano valvole sono state soppiantate da quelle che hanno realizzato i transistor, e queste ultime a loro volta da altri ancora, è chiaro che quei posti di lavoro non esistono più. Ma quando un’impresa entra in crisi e si pensa di salvare l’occupazione ricorrendo a strategie assistenzialiste, si finisce per distruggere ricchezza e dirottare risorse verso un’impresa sconfitta perché incapace di andare incontro alle attese dei consumatori.
Certamente vi sono settori sottratti al precariato, e i retori anti-mercato guardano a quel mondo come a un modello da imitare. I pezzi di “socialismo reale” della società italiana (sanità, università, magistratura, scuola, enti locali, ecc.) garantiscono ai loro dipendenti un posto stabile e per sempre. Non è necessario che un ospedale soddisfi i clienti e guarisca i malati perché sia finanziato – anche contro la loro volontà – dai contribuenti.
Ovviamente, ognuno di noi malsopporta le incertezze della vita, tende a limitare il rischio ed è anche pronto a sacrificare una parte del proprio reddito per avere una prospettiva futura più lineare. Ma in un certo senso gli imprenditori esistono proprio per questo, dato che in molti casi si fanno carico quasi completamente degli imprevisti del mercato e scelgono di corrispondere ai dipendenti una retribuzione fissa, sottratta agli alti e bassi di ogni economia reale; e magari garantita per un dato numero di anni. Quando questo avviene è perché il dipendente riceve una retribuzione che sconta la quota di “rischio” sopportata dal datore di lavoro.
Nell’instabile mondo abitato dagli uomini liberi il rischio può quindi essere gestito o minimizzato, ma sicuramente non può essere eliminato. D’altra parte, sul piano individuale come su quello di un’intera società, il miglior modo per contrastare la precarietà nei suoi aspetti peggiori consiste nel crescere ed essere sempre più efficaci. Chi lavora bene, infatti, è ricercato: se perde un lavoro ne trova un altro, e gli è anche più facile ottenere contratti a lunga scadenza. Ma lo stesso vale per la società nel suo complesso, che quando è in espansione è caratterizzata da una cronica carenza di forza-lavoro (con il risultato che i lavoratori finiscono per avere, sul mercato, una maggiore forza contrattuale).
Perché una società progredisca davvero bisogna però tagliare le spese e licenziare i dipendenti pubblici, abbassare le tasse ed eliminare regole ed inciampi. Né bisogna dimenticare che le amare sorprese che può riservare il mercato rappresentano un dato caratteristico di ogni esistenza non pianificata. In una società costretta a operare come un esercito inquadrato, in cui ognuno agisce obbedendo agli ordini e il cammino è comunque fissato dai generali, il precariato può anche essere abolito perché la libertà stessa è negata. A quanti processano le incertezze del mercato tutto ciò potrà piacere, ma non ci si chieda di condividere una prospettiva tanto illiberale.
Francesco_P il 7 novembre 2014 alle 01:10:
Quelo del precario che dice, ora vado di qui vado di là è utopia, può valere al massimo per i manager, dirigenti vari, e o super tecnici, scienziati e roba simile.
Ma la gran parte dei lavoratori non fà parte di quelle categorie, ne è andato all’università, mia figlia ci è andata, ma guadagna molto meno di quanto prendo e prendevo io, tanto che devo ancora foraggiarla.
IO il contratto da precario ho dovuto subirlo varie volte, però sono anche pensionato, e sul contratto ci scrivevano “consulente”, dei miei stivali potrei dire, e poi con una telefonata fuori dai ball, senza neanche dirtelo in faccia, forse si vergognavano.
Però io ero volontario e con le spalle coperte, potevo andarmene a mio piacimento, ma chi ha solo quello è poco più di uno schiavo, devi stare sempre zitto, ho visto cacciare gente che era in ospedale per un intervento, altro che dignità, certe cose un conto è leggerle, un altro vederle dal vivo, subirle poi è ancora peggio.
Una cosa vorrei sapere, 50km a nord di Milano cè la Svizzera, dice che sono liberi di fare quello che vogliono, ci sarà qualcosa per l’urbanistica, la protezione dell’ambiente e quella della vita dei lavoratori, non credo che siano come in Africa, ci sarà qualcuno che controlla o no, qui poco.
Le cose abusive fuorilegge in genere si fanno qui e meno dalle altre parti.
Egregio mariolino il 4 novembre 2014 alle 14:58:,
La precarietà del lavoro oggi in Italia è il frutto della sua decadenza economica, decadenza originata dall’eccesso di Stato e dalla disgustosa tendenza a usare l’ipergarantismo come strumento per raccogliere consenso clientelare.
Il risultato è che oggi le imprese italiane stanno andando “fuori mercato”.
Il modo migliore per creare lavoro è innovarsi ed essere competitivi. Servono capitali e serve libertà d’impresa. I primi mancano per la pressione fiscale, la seconda manca per la dipendenza nelle decisioni delle imprese dalla politica e dalla burocrazia e per i terrificanti poteri di blocco assegnati a una miriade di costosissimi enti.
In un sistema più libero il lavoro lo si crea. Basta andare 50 Km più a nord di Milano che è come trasferirsi su un altro pianeta.
Quando si crea il lavoro e quando si favorisce la formazione grazie all’incontro fra impresa e università, la precarietà non fa paura e la dignità del lavoratore viene salvaguardata. Ma con le imprese che chiudono e con il collocamento e gli scandalosi pseudo-corsi formativi gestiti dalla mano pubblica, allora ha ragione lei ad avere paura della precarietà e del neo-schiavismo.
La troppa stabilità forse non và bene, ma certo nemmeno la precarietà assoluta che cè ora.
Basta provare a chiedere un prestito in banca senza avere beni al sole, o un lavoro a tempo indeterminato, e vedere le risate che vi fanno in faccia,
Non credo proprio che noi abbiamo tutta questa possibilità di scelta, nemmeno da consumatori, perchè la pubblictà ti fà comprare quello che vogliono le industrie e non altro, le capacità di condizionamento sono enormi.
Il discorso del mercato “libero” può anche andare per le cosidette aziende, ma applicato agli uomini sà tanto di schiavitù, ovvero venduti, comprati e usati come cose.
Perchè la tua libertà dis celta rasenta lo zero assoluto, al massimo puoi essere scelto, ma non puoi scegliere dove fare il tuo lavoro.
Ora puoi essere preso e ricacciato nel giro di 5 minuti, al primo stormir di fronda, le cose sono molto diverse se si guardano da diversi punti di vista, quello dell’industriale non è certo quello del poveraccio che ha solo le sue mani o la sua testa per campare.
L’ovvietà di Catalno è il mondo reale, un altra sarebbe cosa è meglio avere, il culo gelato o un gelato nel culo, dipende dai gusti e dalle emorroidi, ma vivere tutti i giorni senza sapere cosa sarà domani e se mangerai non è una bella vita, questo è sicuro, chi pensa diverso vorrei capire in che olimpo vive.
Mettere i piedi per terra può essere utile a tutti.
Un’ulteriore osservazione:
Mi è capitato spesso di incrociare nel mondo,alti funzionari di grandi Multinazionali…Si parlava della differenza sostanziale fra le Aziende Italiane e quelle Americane….In Italia,ci si “vanta” che una Azienda,da 50 anni produca lo stesso bene….In America,ci si vanta di essere in grado ogni 5 anni,di riconvertire,e lanciare un nuovo prodotto….
Scrivevo questi appunto el lontano 1994….Se qualcuno li vuole leggere…
PROPRIETA’
…”la proprietà è un furto!
…”la proprietà è sacra e inviolabile”!
Sono queste due posizioni estreme altrettanto errate!
La proprietà dovrebbe essere un fatto dinamico, fluttuante, aperto, come una moneta che va e che viene.
Tutti dovrebbero avere come diritto la possibilità di possedere qualche cosa, e tutti dovrebbero avere il dovere di cedere beni, che le circostanze non consentano di tenere, per effetto di mutamenti nel proprio standard di vita.
La società non si può rinnovare se il conservatorismo, impedisce di fatto lo stabilirsi di un vero mercato.
egoismo naturale dell’uomo
tendenza accumulatrice
Gli attuali concetti sono in pratica basati su modelli vecchi di società, che in qualche modo hanno sempre trovato la soluzione nello sviluppo, in nuove frontiere, come sfogo ai particolarismi.
In pratica fino ad oggi,l’umanità è sfuggita ad una vera, cosciente analisi del problema, visto in modo equilibrato (non estremizzato),solo perché, guerre,spazi nuovi, hanno sempre consentito di fungere da valvole di sfogo, di un problema mai affrontato seriamente, mai capito forse.
Oggi la pressione è al massimo;l’attrito fra le varie componenti, la conflittualità, pure.
Manca un modello che non necessariamente debba sempre crescere.
crescita, mito, panacea dei mali del sistema
occorre una nuova mentalità:gestione di spazi, risorse esistenti,conservare più che consumare
troppo terziario che non produce
troppo sviluppo fasullo
funghi che crescono su funghi
troppe persone che in pratica vivono da parassiti,in un sistema a sua volta parassita
senso di soffocamento, asfissia
classe dominante:politicanti,terziari
Occorre rivalutare chi è inserito nel sistema produttivo in senso lato, a chi è legato a”beni” cedibili in trasparenza, in concorrenza
abolizione di dazi e dogane
mercati liberi
Difesa dell’occupazione:un assurdo.
Occorre sostituire il concetto di “diritto di accesso alla occupazione” sulla base di una libera concorrenza domanda\offerta\ricambio.
Diritti acquisiti:un assurdo.
Si deve sostituire il concetto del diritto all “alternativa del diritto”, ovvero del diritto “rotativo”, per merito, per capacità.
Pertanto niente diritti scontati, ma guadagnati.
Oggi troppe strade chiuse, bloccate da gente che ha acquisito diritti, ci si è seduta sopra, e li difende.
Con espansione “zero”, occorre mettere in moto un meccanismo di alternanze, sulla base di una libera competitività, più che la difesa a oltranza di piccole o grandi posizioni”acquisite”.
C’è sostanzialmente una mancanza di spazi per nuove generazioni, il ricambio è impossibile, si creano dei ghetti sociali..
famiglia ghetto:il capofamiglia, titolare senz’altro di un qualche bel diritto acquisito, e senza dubbio di qualche privilegio, è alla fine costretto a mantenere figli “parcheggiati” sino all’età di 35 anni, perché non trovano sbocchi e\o in realtà anche loro si siedono sul proprio “diritto” e così di seguito.
situazioni parassitarie su parassita
creazione di generazione di imbelli,smidollati, irresponsabili, incapaci
Occorre creare dei modelli di convivenza veramente moderni , basati non sul concetto assurdo di DARE, DIVIDERE (in pratica di creare nuovi parassiti perenni), ma di consentire “l’alternanza”.
Mi immagino in pratica una perenne gara alla conquista su basi paritetiche della vita e delle sue opportunità.
Da sempre invece, la conquista, è subito seguita dalla erezione di mura, di barriere protettive, associazionismi, sindacalizzazioni,coperture parassitarie, laddove il ”proletario”neo-capitalista testé arricchito,calpesta di fatto quelli che non sono ancora saliti sul treno della “ricchezza”, e continua a fare discorsi massimalisti!
Oggi acquisto una cosa sulla base di una situazione di mercato libero, laddove qualcuno ha bisogno di alienare il suo bene per motivi contingenti.
A mia volta, se per gli stessi motivi, mi troverò nella stessa condizione, devo essere disponibile a fare altrettanto.
Proprietà e alienazione vanno quindi vissuti non in modo assoluto, frenetico, ansioso, ma transitorio, senza egoismi.
In questo modo si crea nel sistema un vero MERCATO, non gonfiato dalla difesa ad oltranza di cosiddetti “diritti”(che in pratica,vogliono significare non essere disponibili a perdere),con la effettiva apertura di alternanze, smobilitazione, creazione di nuovi capitali, energie in alternativa ad una stagnante situazione.
Sostituire il concetto della “difesa del diritto” con il concetto di “libero accesso ad acquisire un diritto”, in cambio di meriti e capitali (proprietà rotativa).
revisione del sistema di tassazione(attualmente basato sul concetto di proprietà stagnante) con il concetto iniziale di “partecipazione” pro capite, a prescindere dalla proprietà, ai servizi, e a quanto consumato di ogni bene\servizio pubblico, in modo ponderato.
Attualmente vedo le persone che lottano per possedere, per poi difendere il posseduto.
Vedo gli Stati ed i sistemi parassitari generati,che speculano su questa stupida mentalità generale, con tasse di ogni sorta, proprio basandosi su questa debolezza.
Vedo il sistema collassare sotto questa perversa attitudine, di chi cerca di difendersi con l’evasione da chi attacca, succhia su questa arcaica debolezza.
Porte sempre più corazzate, muri più alti, parassiti sempre più incalzanti, laddove costruire e erodere sono in costante disputa.
Che senso ha?
Il castello di sabbia deve poter tornare sabbia, senza erosione strisciante, ma per un fatto naturale.
Nel discorso che ho fatto prima era sottinteso che mi riferissi ad uno stato dirigista.
Sicuro!
L’atto stesso di vivere implica il rischio di morire.
Chi volesse evitare questo rischio non deve fare altro che suicidarsi.
Una volta accettata la naturale precarietà della vita, è comunque normale che l’uomo tenda a ricercare una stabilità ed un equilibrio.
A questo proposito mi permetto di dire che è proprio la esagerata ed arrogante presenza dello stato ad impedire all’uomo il raggiungimento di un equilibrio e tendere ad una stabilità.
Sto parlando di equilibrio e stabilità economica. In questo caso il miglior strumento per raggiungerli è il libero mercato:
Il libero mercato fa sì che un uomo nel momento in cui giudicasse la strada che sta percorrendo non soddisfacente possa prenderne altre per tornare in una situazione di equilibrio.
Questo lo può fare solo se le informazioni di cui può disporre sono veritiere ma sicuramente in presenza di uno stato non possono esserlo.
Esempio: se uno stato elargisce contributi per fare impresa in un determinato campo, l’informazione che fornisce è: “in quel campo c’è da guadagnare”. Sulla base di quella falsa informazione in molti si metteranno a fare impresa in quel campo, ma se quel campo non è necessario o richiesto dal mercato ben presto emergerà l’insostenibilità economica e successivamente il suo fallimento. Quegli imprenditori si ritrovano improvvisamente precari, poveri e disoccupati, ben lontani quindi da una situazione di stabilità.
Questo succederebbe anche nel libero mercato naturalmente, ma con una importantissima differenza: Se in presenza dello stato la FALSA informazione che lo stato fornisce è particolarmente appetibile, quindi presa in considerazione da molta gente, nel libero mercato invece quell’informazione sarà REALE, sarà meno appetibile e farà sì che avvenga una selezione già a priori degli imprenditori interessati. Saranno loro a valutare e decidere quanto sia conveniente quella strada da percorrere e se sia percorribile. La selezione a monte farà emergere solo i più portati, capaci e sicuri. La percentuale degli imprenditori che si “butteranno” nell’impresa sarà inferiore e, tra quelli, la percentuale di coloro che avranno successo sarà maggiore. Abbiamo ottenuto più equilibrio e stabilità. E anche qualità.
È l’ordine spontaneo a creare l’equilibrio, un ordine artificiale (come in presenza di uno stato) è una contraddizione in termini perché porta inevitabilmente a squilibri, quindi a precarietà.
Io quindi mi concentrerei, più che sul comprendere quanto la precarietà sia un elemento naturale della vita, sul fatto che lo stato sia la principale causa della mancanza di equilibrio.
Un saluto .
La stabilità, portata all’eccesso, conduce inevitabilmente alla miseria. Infatti, il progressivo ed ineluttabile peggioramento delle condizioni economiche ci porterà ad essere tutti stabilmente disoccupati. Anche chi svolge una libera professione o un super-garantito lavoro in un ufficio pubblico si troverà a un certo punto senza clienti ovvero senza nessuno in grado di garantirgli più lo stipendio con le sue tasse.
La precarietà è insita nell’evoluzione del mondo. Di contro la stabilità è una aspirazione umana per nulla deprecabile; anzi, la stabilità significa fiducia nel futuro e quindi possibilità di organizzare la propria vita e togliersi qualche soddisfazione.
Da buon vecchio “vile meccanico” cerco di affrontare la questione da un punto di vista pragmatico: come essere preparati alla trasformazione?
Secondo il mio punto di vista, la risposta è: FORMAZIONE, FORMAZIONE, FORMAZIONE. L’industria e i servizi hanno bisogno di sempre nuove competenze, tanto nelle cose piccole che in quelle grandi. Persino antichissimi mestieri come il contadino e il pescatore hanno necessità di misurarsi con una diversa e più sofisticata organizzazione del lavoro, con una costante evoluzione della tecnologia e con modi completamente diversi di proporre i propri prodotti sul mercato.
Il processo di aggiornamento del lavoratore dovrebbe essere continuo e i periodi di inattività fra la vecchia e la nuova occupazione dovrebbero essere finalizzati all’aggiornamento secondo quanto richiede il mercato. Per realizzare questo principio serve una collaborazione industria-università sponsorizzata da uno Stato molto diverso da quello attuale. Infatti, i fondi per la formazione gestiti dalla mano pubblica sono serviti solo a creare un mare di truffe, mentre non sono serviti a nulla ne a chi cerca lavoro e a chi lo offre.
Ho un po’ divagato dall’impostazione teorica verso un’aspetto molto operativo. Ma se si vuole stare al passo del resto del mondo bisogna crescere la produttività del lavoro attraverso gli investimenti in capitale umano (cioè capacità e competenza) e in macchinari capaci di svolgere funzioni sempre più complesse. L’altra via, quella della schiavitù non paga. La stessa Cina sta evolvendo verso produzioni a maggiore contenuto innovativo e tecnologico, relegando i lavori schiavistici a contenuto tecnologico zero al Bangladesh, al Myanmar o ai laboratori clandestini in Occidente.
Tutto condivisibile ma non troppo per chi sa cosa vuol dire lavorare nel pubblico e nel privato.Due mondi alla rovescia.Riparavo macchine utensili.Un giorno,dopo il guasto, assistevo l’operatrice nel ciclo di prova.”Lei è fortunato a fare il lavoro che fa.””Perchè dice così?”,chiesi con ipocrisia guardando il capannone pieno di macchine che nebulizzavano liquidi di raffreddamento.”Sono tornata dalla maternità.Hanno cambiato il cottimo.Ci rimetto,fino a quando non mi sarò adattata.Lei invece è libero.”Poi ebbi la fortuna dell’industria pubblica e con grande stupore,mentre in quella privata si lottava per l’ abolizione del cottimo,lì lo si difendeva con ferocia.Capii perchè quando giunsi a conoscenza che i tempi venivano fissati a Roma in apposite commissioni azienda sindacati.Il mondo è bello perchè è vario ma c’è sempre chi vede la mucca dalla parte delle mammelle e chi dalla parte delle corna.Lei ad un certo punto favoleggia,come altri,di estendere la licenziabilità al settore statale.Beata illusione.Meglio riservare quei posti a chi ha superato i cinquanta.Così ognuno potrebbe godere in ugual misura delle comodità del prepensionamento.Sarà utopia ma sicuramente lo è di meno.