Il paradosso dello Tsipras-pensiero
Grecia. Dimentichiamoci per qualche secondo dell’attualità. Mettiamo da parte la Troika, il referendum, l’ombra del default. Concentriamoci, invece, sul modello di politica economica di cui si fa portavoce Tsipras e, con lui, una larghissima e (sigh!) trasversalissima fetta della nostra classe politica, da Sel a Forza Italia, dalla Lega al M5s, dalla minoranza (ormai ex) Pd a Fratelli d’Italia. Un modello costruito essenzialmente attorno a due capisaldi:
- La crisi (e quindi – a maggior ragione – la crisi greca) è in larga misura colpa delle banche e della finanza speculativa.
- Per uscirne c’è bisogno di politiche espansive che sostengano la domanda aggregata, diametralmente opposte all’austerity e ai vincoli imposti dall’Europa, tra cui il pareggio di bilancio (che, appunto, impedisce di attuare politiche espansive).
Per adottare politiche espansive, com’è ovvio, i governi hanno bisogno di soldi. Tanti, maledetti e subito. E come si trovano questi soldi? Semplice: indebitandosi. Vendendo i propri titoli di Stato alle banche e agli investitori in cambio di liquidità. Che poi è proprio ciò che, alla lunga, ha portato all’insostenibilità del debito greco (e non solo).
C’è una domanda, a questo punto, che sorge spontanea. Se l’è posta per primo Pietro Ichino sul suo blog, e credo valga la pena riprenderla. La domanda è:
Ma come potrebbero gli Stati e la UE indebitarsi, se non esistessero la finanza e le banche?
Twitter: @glmannheimer