Chiunque abbia visto “Gangs of New York” di Martin Scorsese ha un’idea abbastanza precisa di come fosse la grande mela negli ultimi anni dell’ottocento. Quello fu un periodo di profonde trasformazioni economiche e sociali per New York (e per tutti gli Stati Uniti). Ma la mutazione più rilevante fu demografica: nel 1875, New York era abitata da poco più di un milione di abitanti; nel 1900, erano tre milioni e mezzo, di cui almeno un milione e mezzo (cioè quasi la metà) erano immigrati. In questo senso, chi oggi parla di “invasione” non sa quel che dice: in Italia, gli stranieri sono meno del 10%; nella grande mela, nel 1900, ce n’era uno per ogni newyorkese.

È passato un secolo da allora, ma a leggere i resoconti dell’epoca sembra ieri. Il dibattito che sorse su come “fronteggiare l’afflusso” vedeva schierarsi le stesse forze che oggi affollano i giornali e i bar di tutto il Paese. Da una parte, quella fetta di società, tendenzialmente benestante e/o progressista, che in nome della solidarietà giudicava inammissibile qualunque forma di chiusura o discriminazione verso i nuovi arrivati. Dall’altra, oltre a un invisibile (ma consistente) schieramento xenofobo o conservatore, si ergeva anche una buona parte del ceto operaio e della piccola borghesia, che intravedeva negli immigrati una minaccia alla sicurezza dei loro affari, cioè una potenziale forma di concorrenza.

Quest’ultima istanza era molto ben rappresentata a livello politico e diede vita a numerose leggi volte a tutelare i lavoratori “autoctoni”. Rendere esplicito questo obiettivo, tuttavia, sarebbe ovviamente stato discriminatorio. Così, i legislatori statali diedero vita a forme eterogenee e fantasiose di presunte ragioni “sociali” che pervenissero al medesimo risultato. Agli inizi del novecento, ad esempio, lo Stato di New York promulgò il Bakeshop Act, che proibiva ai lavoratori di panifici e pasticcerie di lavorare più di 10 ore al giorno o 60 ore a settimana. La legge indicava, a sostegno della limitazione, ragioni di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Lavorare di più, si diceva, sarebbe stato pericoloso per la loro integrità fisica.

Nel 1905, tale Joseph Lochner, titolare di un panificio, fu multato per non aver rispettato il Bakeshop Act. Lochner appellò la sanzione fino ad arrivare alla Corte Suprema: a suo modo di vedere, limitare l’orario di lavoro delle persone costituiva una violazione del XIV Emendamento, che protegge le libertà civili dall’intrusione degli Stati. Perché, se una persona avesse voluto lavorare di più, non avrebbe potuto farlo?

La celeberrima sentenza che regolò il caso non solo diede ragione a Lochner, ma esplicitò quello che tutti sapevano e nessuno aveva avuto il coraggio di ammettere: dietro al Bakeshop Act non c’era nessuna reale intenzione di proteggere la salute dei lavoratori, ma solo la volontà dei panettieri locali di impedire che gli immigrati lavorassero più di loro, guadagnandosi fette di mercato. Non solo tale legge impediva a persone adulte e consenzienti di stipulare un contratto che beneficiava entrambi (nonché i consumatori), violando così la loro libertà, ma lo faceva con il fine di discriminare una determinata categoria, i cui diritti erano pertanto doppiamente violati.

Tra poche settimane, in Italia, dovrebbe essere reintrodotto il divieto per i negozi di aprire in determinati giorni dell’anno. Quando ci dicono che è per tutelare qualcuno, chiediamoci sempre chi, al contrario, non solo non viene tutelato, ma anzi ci rimette. Chiediamoci chi sarebbe disposto a lavorare la domenica, presumibilmente (ma non esclusivamente) perché ne ha più bisogno degli altri, e gli viene impedito di farlo, senza che permetterglielo possa ledere in alcun modo l’equivalente diritto altrui di chiudere, se lo si desidera. Chiediamoci a chi fanno comodo e chi ostacolano i costi e gli oneri burocratici che servono per avviare un’impresa, le autorizzazioni e le limitazioni all’esercizio delle attività professionali, i monopoli di Stato. E badate bene, la cosa non riguarda gli immigrati: riguarda i più deboli, chiunque essi siano, strangolati nell’abbraccio mortale tra un welfare che da una parte li umilia e dall’altra li tiene in vita, e una burocrazia che rende loro impossibile emanciparsi. Gli ordini professionali, le chiusure obbligatorie, le mancate liberalizzazioni, la burocrazia e la bulimia normativa non sono in effetti che facce di una stessa medaglia: quella, beffarda, di chi un tetto e un lavoro già ce l’ha e per “tutelare” se stesso è disposto a escludere dalla partita tutti gli altri.

Twitter: @glmannheimer

Tag: , , , , , , , ,