La libertà di Barcellona e la sindrome di Stoccolma
Il Parlamento catalano ha approvato una mozione per avviare il processo di costituzione di una repubblica indipendente dalla Spagna. Da Madrid hanno già annunciato che chiederanno l’incostituzionalità dell’iniziativa. E fa effetto vedere il più alto esponente politico di un Paese fare leva sul potere giudiziario per aggirare la volontà popolare, su cui ogni Costituzione e il suo stesso potere si basano. Perché non è di tecnicismi da legulei che stiamo discutendo, bensì del principio di autodeterminazione di un popolo che ha votato liberamente e democraticamente la propria secessione. Se non può farlo, significa che la democrazia non ha nessun valore. Significa che la Catalogna è prigioniera di uno Stato e di un sistema politico e giuridico di cui non vuole far parte. Qualcuno ha fatto notare che il “sì” all’indipendenza non è stato votato all’unanimità. Se è per questo, non mi pare che sia mai stata richiesta l’unanimità nemmeno per formare quello spagnolo, di Stato, così come nessun altro (né a maggior ragione per continuare a farne parte). Perciò, se lo Stato spagnolo dovesse impedire la secessione con la forza, vorrà dire che la Catalogna è sotto occupazione straniera. E sarebbe interessante vedere le reazioni dei benpensanti di mezza Europa di fronte a simile contesto.
Non c’è alcuna ragione logica, se non l’abitudine, di rifiutare per principio le istanze secessioniste della Catalogna (e di chiunque altro). Chi lo fa è semplicemente vittima di una dipendenza psicologica nei confronti dello Stato, che lo porta a giustificare e a sottomettersi volontariamente e totalmente al potere costituito, instaurando una sorta di rapporto di solidarietà tra vittima e carnefice.
Ah: quella delle ultime quattro righe, per vostra informazione, è la definizione di Wikipedia della sindrome di Stoccolma.
Twitter: @glmannheimer