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Improvvisazione (o free improvisation). Chi l’ha vista? Di tanto in tanto spunta. Eppure ha “infiammato” stagioni e platee. Ora niente, o quasi. Quel quasi è rappresentato da singole iniziative qua e là (ah, è vero, in Italia c’è il festival “Controindicazioni“, forse il più grande grazie al sassofonista Mario Schiavo. Ora ne arriva un altro, ma probabilmente dire festival è troppo. Si tratta di una rassegna che si svolge nella lombarda Lodi, precisament nella casa del popolo. Titolo: “Improvvisamente – rassegna di improvvisazione e ricerca”.

I musicisti in campo per la kermesse sono il percussionista Gino Robair, californiano: si esibirà durante il “live” di apertura, il 28 marzo. Sabato 18 aprile è il turno di Hannah Marshall, violoncellista anglossassone, per l’occasione accompagnata dalla voce. Poi si passa al 2 maggio, per una performance titolata “Basta coi capolavori”: in campo Antonello Cassinoti (voce) e Giancarlo Locatelli (clarinetti); “un concerto su testi di Antonin Artaud“. La chiusura della rassegna è affidata a Cristiano Calcagnile – percussione, oggetti – e a Marco Albert – voce ed elettronica – e ancora a Nino Sammartino (vinili).

Improvvisamente – spiega Alberto Braida, pianista-compositore tra i promotori dell’iniziativa che dopo alcuni anni di serate sporadiche per il primo anno ha preso la forma di un vero e proprio ciclo – è un evento all’insegna dell”improvvisazione ma anche un’occasione per mettere a contatto le esperienze di questo genere con quelle del mondo della ricerca”. Per i profani assoluti di questi pianeti musicali un minimo di spiegazione.

Niente jazz e, dunque, origini afroamericane. L’improvvisazione libera ha origini relativamente moderne legate a nomi quali Derek Bailey (chitarra), Ornette Coleman e Peter Brotzman, Peter Kowald, passando dalle parti di Anthony Braxton. Le influenze?  Anche atonali e dodecafoniche della tradizione europea colta.
In allegato: “Noked Lunch” di Ornette Coleman