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Si può prendere l’Arte della fuga di Bach, passarla nel filtro del gusto contemporaneo, trasformarla in maniera jazzistica e restituirla all’ascolto in una forma che probabilmente farebbe sobbalzare per lo stupore l’autore stesso. Non sono in tanti a poter osare nell’operazione, nel Belpaese. Pianisti bravi qui, s’intende, ce ne sono eccome. Tanto ormai da far impallidire anche le schiere di rivali oltreconfine. Ma si sarà già capito su quale nome è caduta la scelta per l’operazione Arte della fuga. Lui, se ha una piccola pecca, è quella di essere ormai come il prezzemolo, un po’ ovunque. Nome Stefano, cognome Bollani… Quando mi è capitata sotto gli occhi l’esecuzione in questione, una fuga  come “riscritta”, mi è rivenuta in mente una storia. Quella del film su B.A.C.H., pronto ormai a essere consegnato alle sale, di chi l’ha realizzato e dei suoi personaggi.

Intanto cominciamo a dire che l’ideatore della pellicola è Francesco Leprino. Si tratta di uno dei personaggi più attivi sul fronte del commento e della narrazione musicale, a più livelli: musicologo-regista, come del resto in altri lavori similari ha affrontato la storia bachiana a capitoli. Non un vero e proprio film, ma una vicenda fra il teatrale, il cine-documentario e il programma. Una formula mista affascinante con una “colonna” portata avanti anche da personaggi impegnati con la musica contemporanea (nel curriculum dello stesso Leprino vi si ri-trovano non pochi legami con il genere colto). Basta citare alcuni nomi: il direttore d’orchestra Sandro Gorli e la suo Divertimento ensemble. I compositori Alessandro Solbiati e Ruggero LaganàVittorio Montalti. Dulcis in fundo il Quartetto Prometeo.
In allegato: Stefano Bollani che esegue l’Arte della fuga