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C’è chi dirà che siamo in presenza dell’ennesima leggenda metropolitana: la musica mantiene giovani, almeno il cervello. A questa conclusione sono arrivati gli scienziati, che non spacciano favole, ma teorie che come è noto a un certo punto vengono o migliorate o sorpassate. Dunque c’è da crederci. Insomma, secondo gli studiosi la formazione musicale continua avrebbe un impatto sul processo di invecchiamento. A dimostrarlo, fino a prova contraria, è stato uno studio americano pubblicato online sul “Journal Neurobiolody of Aging“.

Gli autori della ricerca in questione hanno misurato le risposte automatiche del cervello di musicisti giovani e anziani e di non musicisti. Hanno visto che gli artisti più in là con l’età hanno un distinto vantaggio in termini di tempi neurali. “Non solo vantano delle prestazioni migliori rispetto ai coetanei non musicisti, ma riescono a codificare gli stimoli sonori tanto velocemente e accuratamente quanto un giovane non musicista” ha spiegato la neuroscenziata Nina Kraus: “Questo risultato – ha affermato – non fa che rafforzare la teoria secondo cui avere un’esperienza con la musica e con i suoni nel corso della propria vita ha un profondo effetto sul funzionamento del nostro sistema nervoso”.

I musicisti che sono stati reclutati per l’indagine scientifica hanno inziato il loro rapporto con l’arte dei suoni a nove anni e sono sempre stati impegnati nella loro attività; mentre i non musicisti messi sotto esame, avevano alle spalle comunque tre o meno di rapporto con la musica. La scoperta che è stata fatta lancia l’ipotesi che il cervello possa “allenarsi” almeno in parte deficit uditivi legati all’invecchiamento.
In allegato: musiche di Waynetoven