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O si è musicisti – e che musicisti a volte! – oppure capire che cosa accade realmente in una partitura – o storia musicale improvvisata o semi tale – e di quale scelte è fatta, è/può essere un compito davvero arduo, se non fuori portata. Apprezzabili dunque sono i lavori giornalistici attraverso i quali – magari solo per un attimo – emergono i “segreti” compositivi degli autori. A questo proposito, interessante segnalare un articolo pubblicato sul numero agostano del periodico MusicaJazz: in un passaggio della Cover story dedicata al sassofonista-flautista Henry Threadgill, genere Avangarde-jazz, già membro dell’AACM (ma ha suonato anche col trio “Air”, il sestetto “Very Very Circus” e i gruppi “Make a Move” e “Zooid”), grazie a flash su i suoi metodi che esprimono un linguaggio non poco concettuale,  le carte del musicista sembrano essere più leggibili; riguardo la sua incisione ultima per esempio, ma anche, più in generale rispetto alle sue scelte fatte a monte per interi periodi del suo cammino. Vediamo.

“Nel lavoro con Zooid dell’ultimo decennio – scrive il critico musicale Angelo Leonardi sul mensile – Threadgill ha messo a punto una metodologia che chiama The System. Assegna ai musicisti alcune serie di blocchi d’intervalli di tre note, lasciandoli liberi di muoversi al loro interno con libere improvvisazioni e contrappunti”. E prosegue: “Una metodologia ovviamente lontana sia dalle classiche improvvisazioni su accordi sia dai modelli tipidi del free storico (…)”.

C’è da aggiungere – seuppur a molti può sembrare ovvio – che questo autore fa ricorso a soluzioni ritmiche complesse e stratificate; non mancano i momenti di estrema scomposizione fino a giungere all’astrattismo. Nel “suo” genere si mescolano discorsi ai confini del jazz, echi classici e la etnica di matrice afro.

Post scriptum. La serie delle “tre note” usate da Threadgill fa venire alla mente per un attimo l’impostazione della musica seriale avanguardisca europea (http://it.wikipedia.org/wiki/Serialismo). Forse qualcosa che ha usato o al quale si à avvicinato – stavolta stando dalle nostre parti – anche il pianista italiano Franco D’Andrea, che a un certo punto del suo discorso stilistico ha guardato tanto le ricerche “colte” novecentesche del vecchio continente quanto il variegato e assimetrico pianeta della ritmica del continente africano.
In allegato: musiche di Henry Threadgill