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Fa piacere leggere delle interviste a personaggi della musica che parlano, anzi entrano nella musica, svelano qualche segreto dal loro punto di osservazione. Detta così sembrerebbe un’ovvietà che neanche monsieur de La Palice…  Ma così non è, perché capita non di rado di vedere articoli in cui si parla più che altro di quel che il personaggio ha fatto a destra e a manca, di quel che pensa del sesso degli angeli e di cosa guarda in tv alla sera prima di andare a letto… Più che letture, pure perdite di tempo. O quasi. Ma se l’incontro e l’intervista sono all’insegna della sintonia… e tutta un’altra cosa. Lo spunto per parlarne sono alcuni articoli di questi giorni, apparsi su testate italiane. A essere intervistati, nomi di prima grandezza della musica contemporanea, di stampo europeo, sia intesa come creazione moderna di derivazione tardoromantica (con relative rotture dei linguaggi), sia intesa come frutto di sperimentazioni dal taglio meno ortodosso.

Pierre Boulez merita di essere nominato per primo, indubbiamente, perché – per chi non lo sapesse – viene considerato uno dei più importanti artisti europei della scena moderna. Segue la signora della musica finlandese, Kaija Saariaho, che in quanto donna rappresenta l’altra faccia della sensibilità musicale – lei puntualizzerà sempre il contrario, che non è vero, che i generi non si devono mettere nel conto – e che è testimonial della tendenza scandinava, in questi ultimi anni assai apprezzata in ogni dove. Infine, un nome di casa nostra come Patrizio Fariselli, ex tastierista del gruppo Area oggi libero battitore, ma fino a un certo punto.

Boulez, per esempio, dà la sua idea rispetto alle contaminazioni, vedi il rock: “Per noi è un linguaggio distante, ma si può prendere qualcosa – spiega a Repubblica (articolo firmato da Leonetta Bentivoglio) -.  Molti anni fa, noi compositori di tutt’altra generazione, abbiamo coltivato illusioni analoghe riguardo al jazz. Si pensava a un possibile intreccio linguistico ma non si è realizzato”.

Dell’intervista alla Saariaho, apparsa sullo stesso quotidiano qualche giorno dopo, colpisce la risposta sulla “funzione” che, secondo lei, ha il compositore in una società odierna: “L’arte ha un ruolo spirituale, come la religione. Ma vale anche per i non credenti”. Così, infine, motiva il successo che hanno in quest’epoca gli autori dell’Europa settentrionale: “La musica finlandese mediamente è caratterizzata da lunghe linee melodiche. Noi compositori finlandesi poi abbiamo una caratteristica che ci accomuna: non scriviamo musica se non abbiamo qualcosa da dire (…)”.

Infine il nostro Fariselli sentito dall’Unità. Una risposta dell’ex Area è un bel saggio di tutto il suo interessante discorso: “L’improvvisazione è uno stato della mente. Questa definizione non delinea staticità, ma rispecchia l’atteggiamento che si ha quando ci si appresta a inventare qualcosa. Anche noi, in fondo, stiamo improvvisando: in ogni risposta ti offro uno spunto per la domanda successiva”.
In allegato: musiche di Kaija Saariaho