Le elezioni presidenziali in Ucraina, che vedranno fronteggiarsi al ballottaggio il presidente uscente, Petro Poroshenko e il carismatico attore comico Vladimir Zelensky, hanno riportato alla ribalta delle cronache la guerra civile meno ricordata in Europa.

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Quella che fu provocata dalla rivolta dell’Euromaidan iniziata a novembre del 2013 e poi esplosa definitivamente nel febbraio 2014 con la cacciata del presidente eletto Viktor Janukovyč, “colpevole” di non aver ratificato l’accordo di associazione con l’Unione Europea.

Fu l’inizio di un conflitto e di una crisi ancora non risolte, che portarono al famigerato gioco di sanzioni e controsanzioni tra l’Occidente e la Federazione Russa, in un clima di rinnovata Guerra Fredda. A distanza di anni, però, è chiaro chi sia il principale sconfitto di quella catastrofe: l’Ucraina. Impoverita, divisa, addirittura “umiliata” con la scelta di ministri stranieri formati in atenei americani. Una scelta inaudita per uno Stato teoricamente sovrano.

Vicende queste illustrate dal saggio “Ucraina. La guerra geopolitica tra Stati Uniti e Russia”, recentemente pubblicato da Historica Edizioni e firmato dal giornalista Antonio Parisi e da Fabrizio Bertot, giornalista, imprenditore e già parlamentare europeo, che visse da protagonista, quale osservatore in occasione del referendum per l’annessione della Crimea alla Federazione Russa, quella situazione. Un saggio che merita di essere letto perché, finalmente superando la retorica “putinofoba” propinata agli italiani dai media mainstream in questi anni, spiega quale fu il ruolo delle grandi potenze e soprattutto degli USA in quella che fu una crisi soprattutto a danno dell’Europa e degli europei.

Fuck the EU”, diceva il segretario di Stato americano, Victoria Nuland, nel bel mezzo della fase più calda della crisi ucraina, in una celebre telefonata intercettata e poi pubblicata in tutto il mondo. Da questo episodio il saggio prende le mosse per spiegare l’inesistenza geopolitica dell’Unione Europea e la sua plateale e totale sudditanza nei confronti dell’Amministrazione Obama in quel frangente così come, in seguito, con la pedissequa applicazione delle sanzioni.

Di contro il libro mostra come, alla luce della realpolitik, Germania e Francia, costituendo con Ucraina e Russia il “quartetto di Normandia”, riuscirono a ritagliarsi un’autonomia di movimento che fu il preludio ideale delle mosse che oggi vediamo svolgere da Merkel e Macron e che hanno portato al recente Trattato di Aquisgrana e al riavvicinamento diplomatico a Mosca. La Germania in particolare, si spiega nel testo, è riuscita a giungere all’avvio del raddoppio del gasdotto North Stream, prenotando così il ruolo di hub europeo del gas, mentre, per la stessa crisi ucraina, veniva affossato quel South Stream che avrebbe avvantaggiato l’Italia, costretta a seguire le direttive statunitensi e di Bruxelles…

Leggere il libro di Bertot e Parisi è un pugno nello stomaco per la chiarezza e la semplicità con cui sono illustrate l’inutilità e la debolezza diplomatica di Bruxelles. Ma è anche uno di quei colpi che bisogna prendere, per aprire gli occhi.

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