Alfano sotto inchiesta: la Troika vuole la fine di Renzi?
Il fatto che desti sorpresa, tra le stanze di Palazzo Chigi, lo spionaggio realizzato dalla NSA ai danni dell’ex premier Berlusconi, può essere tranquillamente catalogato come uno stupore di facciata. Da tempo, ed è cosa nota agli addetti ai lavori, la pratica di spiare governi amici e nemici è una prassi inveterata che permette in primo luogo di monitorare il comportamento dell’alleato o dell’avversario, e in secondo di preparare le eventuali contromosse con il dovuto anticipo. Sgomberato il campo dunque da improbabili ingenuità, i cable di Wikileaks, confermano quanto stava accadendo attorno al Cavaliere nel 2011. L’attacco estero che voleva disarcionare Berlusconi era in corso d’opera, e il secondo cable trapelato conferma come l’accerchiamento dell’asse franco-tedesco, rappresentato allora da Sarkozy e dalla Merkel, abbia puntato a piegare gli interessi dell’economia italiana a quelli delle economie estere che guidavano l’eurozona.
Su questo, niente di nuovo, e la storia è stata ampiamente raccontata anche nel libro “Colpo di Stato permanente” nel quale vengono descritti i passaggi che hanno portato alla destituzione di Silvio Berlusconi, grazie alla sponda decisiva del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, senza il quale sarebbe stato ben più difficile realizzare il colpo di mano deciso dalle cancellerie francesi e tedesche. La riflessione naturale che si può fare sull’uscita di questi file è sulla loro tempistica, alquanto significativa. E’ noto che l’irrequietezza del premier Renzi sulla flessibilità dei vincoli di bilancio europei, da diversi mesi a questa parte, stia suscitando malumori sempre più crescenti dalle parti di Bruxelles. Il rilascio delle intercettazioni illegali in questo momento, sembra essere un’indicazione diretta proprio all’inquilino di Palazzo Chigi: ciò che è stato fatto nel 2011 può essere fatto ancora se si mette in moto la stessa macchina.
La situazione oggi, va detto, ha delle sostanziali differenze; la prima è che al Quirinale non c’è più Giorgio Napolitano, il presidente interventista decisivo per eseguire questo tipo di operazione; la seconda è che la posizione di Renzi verso la Magistratura al momento sembra lontana da quella in cui si trovava Berlusconi, sommerso dalle inchieste giudiziarie. Quest’ultima difficoltà potrebbe essere superata sferrando un attacco giudiziario alle ali esterne che supportano il suo governo, e in questo senso la tempistica con la quale è stato messo sotto inchiesta Angelino Alfano, per abuso d’ufficio, è piuttosto significativa.Ad ogni modo queste due condizioni segnano una rilevante diversità con il precedente attacco, e potrebbero essere sfruttate da Renzi per arroccarsi sulla poltrona di Palazzo Chigi. Il premier non sembra avere molte alternative davanti a sé, e qualsiasi sia la strategia che sceglierà di seguire lo condurrà inevitabilmente a intraprendere una battaglia decisiva per la sua sopravvivenza politica.
Davanti a sé Renzi ha due strade; la prima è quella della fiera resistenza alle condizioni dell’Europa che pretende maggiore rigore di bilancio, e su questa via il rottamatore dovrà prepararsi ad affrontare il fuoco di fila, in parte già iniziato, dei mercati finanziari e delle istituzioni europee; la seconda è la resa incondizionata all’Unione Europea, ma se Renzi decidesse di intraprendere questa soluzione dovrà fare i conti con un malcontento crescente dell’elettorato nei suoi riguardi. Qualcuno in questo momento sta già pensando alla rottamazione del rottamatore, mentre lo sguardo austero di Mario Monti inizia a vedersi sempre più di frequente sugli schermi televisivi. L’intervista che il senatore a vita ha rilasciato a Libero qualche giorno fa è un altro segnale verso Renzi. Il professore bocconiano fa un’analisi sullo stato della crisi europea, le cui cause non vengono individuate nella rigidità di azione dei burocrati europei, ma nella miopia politica dei 28 governi dell’UE che perseguono interessi di partito e impediscono all’Europa di perseguire una via unitaria.
Se dunque la politica non viene giudicata da Monti all’altezza della situazione, non è difficile immaginare che questa sua considerazione porti ad un inevitabile ritorno della tecnocrazia che ancora una volta si renderebbe protagonista di un cambiamento deciso dall’alto. Monti è stato il migliore – per chi lo ha designato in tale ruolo – interprete di questo processo ma non potrà essere il nuovo inquilino di Palazzo Chigi, proprio perché la sua immagine agli occhi dell’opinione pubblica è fortemente compromessa dalle politiche estremamente impopolari che il suo governo mise in atto. Occorre un personaggio nuovo, fresco, che non sia screditato agli occhi dell’opinione pubblica e che possa realizzare la seconda parte del piano iniziata da Monti nel 2011. L’Italia, nonostante i durissimi colpi che ha subito aderendo all’eurozona a trazione tedesca, ancora oggi resta uno dei paesi più forti dell’Unione Europea.
Il suo risparmio privato è tra i più alti in Europa; il debito aggregato, composto dalla somma tra debito pubblico e debito privato, lo rendono tra i paesi più virtuosi nell’eurozona. E’ proprio questo dato che sembrano trascurare le prefiche dell’austerità, tra le quali si schiera l’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, che invoca manovre ancora più dure per alzare gli avanzi primari. Come al solito questa narrativa che attribuisce il peso del debito dei padri ai figli, omette di citare che l’austerità è il debito. Le manovre che puntano al contenimento del bilancio pubblico ottengono l’effetto contrario, e su questo vale il caso di scuola dello stesso governo Monti che con le sue manovre di politica economica portò il rapporto debito/PIL al 123%; il livello più alto dal 1970.
Dunque qual è la logica di somministrare di nuovo una soluzione che produce gli effetti contrari a quelli sperati, e si è rivelata alla prova dei fatti fallimentare? Apparentemente dal punto di vista degli interessi italiani, nessuna, ma non se si guarda agli interessi della Germania che ha fatto dell’austerità la regola per indebolire le economie degli altri membri dell’eurozona. L’euro è stato creato con un preciso scopo, ovvero quello di permettere all’economia tedesca di mettere in atto delle politiche mercantiliste che aggrediscono la bilancia dei pagamenti degli altri paesi che appartengono alla moneta unica. Una volta ridotte e smantellate le capacità industriali degli avversari, la Germania può anche permettersi di abbandonare l’euro. Prima però c’è da abbattere il rivale dell’export tedesco, l’Italia, impendendole di rimettersi in piedi. Tutto questo sembra di difficile realizzazione per un politico come Renzi che cerca di guadagnarsi un secondo mandato come premier, ed è per questo che si fa strada l’ipotesi di una sostituzione. Gli avvertimenti che arrivano in questi giorni, dagli ambienti di Bruxelles e da quelli atlantici, sembrano tutti andare in questa direzione.