Se ne va Ugo de Rosa e il ciclismo perde un bel pezzo di storia, scritta suoi suoi telai,  sulle  strade con le vittorie dei campioni che hanno pedalato sulle sue biciclette, scritta nel racconto di un Paese che grazie alle idee, alla tenacia, ai valori e all’imprenditorialità di questi artigiani ha permesso ( e permette) al made in italy di farsi apprezzare nel mondo. Aveva 89 anni e  solo 19 quando a Milano, nell’allora periferia di Niguarda  fondò ufficialmente la Cicli De Rosa disegnando come primo simbolo sui telai  uno scudetto biancazzurro con l’arcobaleno.  Poi si trasferì a Cusano Milanino, paese di sua moglie Mariuccia, e lì dall’inizio degli Anni Settanta iniziò a scrivere la grande storia della bici italiana al fianco dei team professionistici e di quella scuola di telaisti d’autore che porta i nomi di Ernesto Colnago, Nani Pinarello, Faliero Masi,  Beppino Drali. “’Avevo circa 20 anni, quando ho venduto la mia prima bicicletta- aveva raccontato in una delle sue ultime interviste pubblicate sul sito della Federazione ciclistica-  Mio zio era meccanico di moto e, allora, i metodi di costruzione dei telai per moto e bici erano simili. Quindi ho imparato da lui, per poi proseguire da autodidatta». Se n’è andato all’improvviso per un attacco cardiaco, lasciando  alla sua famiglia, ai suoi figli Cristiano, Danilo e Doriano e ai suoi nipoti il testimone di un’azienda che tra pochi giorni compirà Settant’anni. Da Raphael Geminiani a Rik Van Looy a Francesco Moser ha messo in sella tutti i più grandi ma soprattutto il “cannibale” Eddy Meckx che quando  Colnago lasciò la Molteni, pretese che a prendersi cura della sua bicicletta fosse soltanto lui. E così fu. Ci ha sempre messo mano lui alle sue bici. Come racconta, con un post sui social Ivan Cerioli che nel dicembre del ’96 andò nel quartiere industriale di Cusano Milanino per prendere le misure della bici da pista con cui avrebbe corso le Sei giorni nella con i colori della Batik:  “Mi presentai dopo cena pensando di trovare il Signor De rosa negli uffici- ricorda- e mi  portarono in officina, in una delle postazioni di saldatura c’era un tipo con un lungo camice blu che stava saldando. Lo chiamarono, si girò abbassando la maschera da saldatore…Ed era lui”. Altri tempi, altra stoffa forse un altro mondo che però resta un caposaldo di un’azienda che oggi produce 7mila bici l’anno per professionisti ed amatori e resta uno dei simboli del ciclismo italiano. Non è più quella di settant’anni fa, è cresciuta, è cambiata è stata capace di rimanere al passo ma non ha mai dimenticato da dove arriva. E basta andare sul suo sito per capire che Ugo De Rosa anche se se n’è andato resta:  “Sono un uomo che va dritto al punto. E, per abitudine, non mi guardo mai indietro e conto gli anni che ho passato a fare cornici. Preferisco guardare avanti, perché dopo mezzo secolo sono ancora convinto che la bicicletta abbia margini di miglioramento. E, come ho fatto finora, anche in futuro voglio contribuire all’evoluzione di questo affascinante veicolo, così semplice e così complicato allo stesso tempo…”. Sembra un testamento. E sicuramente lo è.