Dieci anni fa moriva Pietro Mennea. Il più grande.  Ragazzo del sud,  di famiglia modesta, caparbio, geniale, campione, avvocato, commercialista, scrittore, politico. Tutto.  E’ rimasta la telecronaca di Paolo Rosi a raccontare in 20 secondi l’essenza stessa della vita di Pietro Mennea, ragazzo del sud, di famiglia modesta, caparbio, geniale, campione, avvocato, commercialista, scrittore, politico.  E ogni anno l’Italia scende in pista per celebrarlo, per ricordare  quel fenomeno che  cominciò a correre nella corsia numero 4 della pista dello stadio Azteca di Città del Messico e firmò il record del mondo sui 200 metri. Fu uno sparo nella notte, la vittoria del talento ma anche della tenacia e della caparbietà, la corsa più straordinaria nella storia dell’atletica. Fu un pezzo di storia del nostro Paese che il 12 settembre del 1978 si fermò con le lancette dei cronometri stampate in 19’72” e lì rimase quasi incisa nell’anima di un paio di generazioni . Poi a allo stadio Lenin di Mosca, il 28 luglio 1980, nella  XXII Olimpiade arrivò anche l’oro olimpico in un’altra gara immensa e in un’altra storia ancora o, forse, solo la stessa che diventava leggenda.  Ma Pietro Mennea non è solo questo, non è solo quella incredibile rimonta raccontata da un emozionatissimo e indimenticabile Paolo Rosi: “recupera, recupera, recupera…” . Pietro Mennea tutti quelli che hanno una certa età lo ricorderanno per un modo di dire che starà lì per sempre a testimoniare quanto è stato grande, perchè nulla è più definitivo e scolpito di un modo di dire. “Corri come Mennea…” era ciò che ognuno di noi almeno una volta da piccolino si è sentito dire quando la sensazione era di andare veloce: su un campetto di calcio, giocando in strada, uscendo di fretta dalla scuola o anche scappano dalla sculacciate della mamma…Perchè Pietro Mennea correva davvero forte, spesso in direzione ostinata e contraria ed è sempre stato nella storia. Nella nostra storia.  In tutte le nostre primavere.