“Nun volemo né tedeschi né americani, fatece piagne da soli”, recitava una scritta apparsa sui muri di Trastevere nei tragici giorni che segnarono la caduta del fascismo.
Una frase spesso rievocata dal grande Carlo Mazzantini, personaggio impossibile da dimenticare e da rievocare soprattutto in giornate come questa, scrittore, poeta e storico del Fascismo, combattente della Repubblica Sociale Italiana alla quale aderì all’età di 17 anni, all’indomani dell’Armistizio dell’8 settembre 1943, militando nella Legione Tagliamento.
Conobbi Mazzantini grazie ai racconti di Marco Pannella, il quale ne era molto affezionato. 
Mazzantini fu uno dei tanti “ex repubblichini” (un altro celebre fu Giorgio Albertazzi) che decisero infatti di iscriversi al Partito radicale, a causa della visione alternativa che quella creatura di Pannella aveva “partorito” rispetto ai tragici eventi che caratterizzarono la storia della nostra “resistenza antifascista”.
Per il leader radicale il fascismo da abbattere era infatti quello della partitocrazia e non quello delle bandiere nere, erede della RSI: “nato morto, senza potere autonomo”, diceva.
“Dove sono mai i “fascisti” se non al potere ed al governo? Sono i Moro, i Fanfani, i Rumor, i Colombo, i Pastore, i Gronchi, i Segni”, scrisse il leader radicale in una straordinaria prefazione al libro “Underground a pugno chiuso”, “contro la politica di costoro, lo capisco, si può e si deve essere “antifascisti”, cioè “antidemocristiani. Noi radicali lo siamo”.
Perché il potere veramente fascista, di successori reali, storici del fascismo, era quello della partitocrazia bianca e rossa dove i “partigiani” -ieri come oggi- stavano portando avanti una tragica operazione di violenza e denigrazione dei propri avversari, in particolare dei camerati del MSI.
MSI che Pannella sorprese ardentemente durante il tredicesimo Congresso nazionale, spiegando loro che erano, legittimamente, gli eredi del “fascismo movimento” e non del “fascismo regime”, invitandoli a non rinnegare se stessi e il proprio passato perché la loro storia, era qualcosa di nobile costruita da giovani innocenti che casualmente e “stupidamente” indirizzarono la loro generosità e la loro sete di sacrificio verso la Repubblica Sociale, divenendo poi “oggettivamente” sicari dei tedeschi e dei nazisti, assassini e torturatori. 
“Il fascismo è cosa più grave, seria e importante, con cui non di rado abbiamo un rapporto di intimità. Altro che roba da “vietare” con la “legge Scelba”, da reprimere con qualche denuncia a qualche carabiniere”, diceva Marco, “il fascismo sono gli “strascichi” dei comportamenti tremendi, pienamente assassini, della direzione estera del PCI, e in particolare di Togliatti, negli anni degli stermini stalinisti, e le foibe triestine e giuliane”.
Foibe che Pannella visitò per primo, andando a Basovizza -nel Giugno del 1978 prima di Almirante e del MSI- per commemorare gli infoibati e gli assassini italiani, e chiedendo verita`, giustizia, “pietas erga lares et penates”, verso l’Italia e la Trieste di quei giorni.
Ma ora che Pannella è morto pare che a sinistra non ci sia più nessuno in grado di tirare le orecchie a quattro coglioni che cantano “Ma che belle son le foibe da Trieste in giù”,  che abbiamo visto un paio di anni fa in branco prendere a calci un brigadiere dei carabinieri mentre era terra impedendo tra l’altro ad una signora  come Giorgia Meloni di parlare, aggredendola con sputi, cori e lanci di bottiglie. 
Ci manca quella prospettiva liberale (radicale), quella autentica alternativa, oggi che siamo ancora impantanati in una alternanza intollerabile tra la retorica dell’antifascismo e l’elogio del Ventennio.

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