Oggi fanno 168 anni esatti dalla nascita del filosofo che più d’ogni altro seppe interpretare l’abisso che si nasconde in ogni uomo. Quella corda tesa che lo lega all’aspirazione superiore, da lui definita übermensch, oltreuomo, ma per demerito nazista diventata mito del “superuomo”. Ma se, tra i tanti, abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti di quella grande lezione, esso sta nell’“umano troppo umano” che si cela dietro la costante aspirazione al miglioramento di sé. Che non si può più intendere, se non colpevolmente, come razza biologicamente superiore e dominante le altre (brutale tesi inventata da Hitler), quanto piuttosto nel tentativo che ogni uomo deve a se stesso di superare l’asticella dei propri limiti. In particolare, nel campo del proprio spirito. Provare ad essere all’altezza del proprio sforzo di ergersi dalla condizione bestiale, del mantenersi in equilibrio precario con i piedi nella natura ma, con il pensiero e la propria coscienza, nel medesimo tempo con la testa al di fuori della natura. Ed è per questo che, come regalo di compleanno, l’uomo che si tuffa dai 39mila metri dello spazio siderale per piombare sulla desertica terra del New Mexico, superando a corpo libero il muro del suono, ci sembra metaforicamente il più appropriato. Friedrich Wilhelm Nietzsche (nato il 15 ottobre 1844 a a Röcken, villaggio nei pressi di Lützen, cuore profondo d’Europa) avrebbe, credo, apprezzato il gesto. Anche se così fine a se stesso e un po’ rovinato dal consueto superomismo di uno sponsor di bibite e dal clamore dei tanti che banalmente a superman l’hanno associato.

Tag: , , , , , , , , , , , , , ,