Non c’è nulla di più fuorviante che un’immagine spalmata dai mass media sulla pubblica opinione. Tipo quella, in voga più o meno sino ad oggi, che nell’acerrima rivalità tra i due juniores forgiati dal Pci, D’Alema e Veltroni, vedeva l’eterno scontro tra il male e il bene, il perfido e il buonista, l’apparato di partito e l’innovatore. Tanto fortunata e radicata, la vulgata, da aver convinto persino i protagonisti talora a comportarsi secondo cliché.

Qualche anno fa, imperavano entrambi (l’uno a Palazzo Chigi, l’altro nel partito), ed ero a pranzo con un dirigente comunista che li aveva conosciuti quando portavano i calzoni corti. “A cena con Walter? Una noia mortale, l’uomo è triste e cattivo. Anzi, perfido. Ti porterebbe al Mac Donald’s. Con D’Alema ti diverti, se fai parte della schiera degli eletti. Il suo sarcasmo è la sua autodifesa, ma in fondo è un pezzo di pane. Magari raffermo, ma commestibile”.  Caddero entrambi, vittime di se stessi. Il primo rottamatore, allo spuntare del Duemila, si chiamò Cofferati. Il regista snob, vagamente veltroniano, aveva revocato l’appoggio dei salotti in piazza del Popolo: “Con questa classe dirigente non vinceremo mai!”, aveva tuonato Nanni Moretti provocando un’ovazione. Un misterioso Catilina, sul sito della Cgil, aveva addirittura scritto: “Li dovremo cacciar via a pedate”. Cofferati fu chiamato a rispondere dell’attacco, da qualche veltroniano paragonato a terrorismo puro (Walter no: non sapendo chi si celasse dietro Catilina, prudentemente restò zitto). D’Alema invece, punto nell’onore,  schierò le truppe. Il capo della Cgil dalla paura si squagliò come neve al sole di Bologna, non riprendendosi mai più.

Oggi che la profezia del redivivo tribuno romano si sta avverando, che il rottamatore è un giovane fiorentino e alle porte ci sono i barbari grillini, Walter gatto mammone s’è ritirato con una mossa che più perfida non si può. Senza avere il coraggio di dirlo, tira la volata a Renzi e mette in braghe di tela il povero Bersani, costretto a dilaniarsi tra il popolo rottamatore e i rottamati che l’hanno scelto come segretario. D’Alema è ormai ferito, ma non ancora “un cane morto” ha fatto sapere. I dirigenti pugliesi, lucani, campani, calabresi e siciliani a lui fedeli hanno notificato al segretario che loro sono con e di D’Alema, più che nel Pd. E la Velina rossa di Laurito, vecchio comunista dalemian-albanese, ha spiegato senza fronzoli agli addetti ai lavori: “Quelli che hanno firmato per D’Alema sono gli stessi che hanno eletto Bersani. Nelle loro regioni, lui ebbe nelle primarie le percentuali maggiori, intorno al 70 per cento. E questo, Bersani, non deve dimenticarlo. Renzi è il nuovo Farinacci, il Grillo di Firenze, dovreste rileggervi la storia della marcia su Roma…”. Farneticazioni? Rancore di zelota? Allarme democratico? Affetto vero? Intanto il cane morto s’aggrappa al vivo, e minaccia: “Ve ne accorgerete!”. Il gatto mammone, zitto zitto, raggomitolato nella sua cesta di baobab, accenna al sorriso. Come scrisse un anonimo del Basso evo: “L’infame si cavò un occhio, purché all’altro ne fussero cavati dui“.  Fine ingloriosa di due cavalli (forse un po’ anche asini) di razza. Ah, se avessero raccolto l’invito di Catilina.

Tag: , , , , , , , , , ,