I cannibali dell’urna
C’è qualcosa che accomuna, in questa campagna elettorale, tutte le aree politiche. La nascita, si potrebbe dire la ricomparsa, dei “cannibali“. Chi sono i cannibali? Coloro che cercano di cuocere a puntino i partiti “fratelli”, cioè appartenenti alla stessa “famiglia” politica, per fagocitarne gli elettori.
L’assalto di Ingroia a Vendola (qualche dirigente compreso) è il fenomeno più visibile. Ma in piccolo la “Sorella d’Italia” Giorgia Meloni, a Roma, cercherà di papparsi Storace (osso duro, renderà pan per focaccia). E Monti, caso più articolato e complesso, ha come mission dichiarata di strappare più elettori possibile al centrodestra di Berlusconi (come per Storace, rischia di finirci lui, bollito, nel pentolone). Al centro, nel contempo, fa strage negli accampamenti di Udc e Fli (vittime consenzienti) e prova, verso sinistra, a inglobare qualche renziano deluso.
Che significato ha l’affermarsi di una tendenza del genere? Testimonia anzitutto un vuoto di potere che corre parallelo al vuoto di idee. Nessuno sa come venirne fuori, e ciascuno è consapevole di non avere ricette. Il possibile avvicendarsi di personalità (quasi tutte di poco peso) mira a rimescolare le carte di una crisi di sistema. Il pericolo è che, superato l’ostacolo elettorale in modo così frammentario e confuso, un sistema ridotto a pezzi metterà i cerotti e tirerà un sospiro di sollievo per essere sopravvissuto. Potrebbe derivarne l’ennesima stagione di torbidi da fine epoca (anche perché la vera questione cruciale di questo Paese è quella della legalità).
Anche un altro aspetto sembra interessante. Ancora una volta i partiti esistenti, con l’eccezione dei grillini, dimostrano di non riuscire né a capire, né a saper colmare, il distacco dalla gente comune. Le liti personali accresceranno pure l’interesse, e persino forse la partecipazione al voto, ma costituiscono solo l’ennesimo fattore di “distrazione di massa“. Non si aggancia alcuna area del Paese nuova, non si sa parlare a ceti emergenti, si rinuncia in partenza a rappresentarli, si preferisce dirigere la propria attenzione ad aree già note e a parlar loro con toni e parole che sono dei dejà vu. Così Ingroia soffia sul fuoco del malcontento tra i vendoliani (gioca facile, l’idiosincrasia alla logica della governabilità è connaturata all’elettore medio della sinistra radicale) e Monti sceglie di fare promesse (tasse e quant’altro) per attirare un elettorato già abituato alle seduzioni berlusconiane. La campagna elettorale, come la rivoluzione, non è un pranzo di gala, si sa. Ma a digiuno, come sempre, resterà solo l’elettore.