Toh, chi si rivede. La sinistra di lotta che si tiene ben distante da quella di governo seduta a Palazzo Chigi. Distinta, distante e ricambiata, visto che il leader postcigiellino Guglielmo Epifani giunge alla svolta più eclatante per un ex sindacalista: mettersi in pantofole e vestaglia per disertare la piazza dei lavoratori. Proprio come accadde nel Settantasette a Enrico Berlinguer, ritratto da Forattini nella celebre vignetta mentre sorseggia un tè davanti alla finestra dalla quale sale la vibrante protesta dei metalmeccanici.

Ci risiamo, ecco ancora la Fiom, e se allora il Pci era alla vigilia del governo di solidarietà nazionale, oggi i suoi eredi sono sempre più slabrati da «larghe intese» rese improbe dalla nulla identità. Fatto che impone una certa prudenza a percorrere oltre il parallelismo tra le due storie. Se la sordità del Pci di allora fu in qualche modo giustificata dall’arrembaggio brigatista, oggi fortunatamente è soltanto l’inconsistenza dei dirigenti pidini a fare dei metalmeccanici della Fiom, e del suo capo Maurizio Landini, il «nocciolo duro» del cantiere che si apre a sinistra. Una prateria dove per il momento scorrazzano in tanti con poco costrutto, dai comunisti di Ferrero ai grillini, da Vendola a Rodotà, per finire con Barca, neoacquisto del Pd. Ma un leader in campo probabilmente c’è già, Landini, che in un possibile raggrumarsi dei tanti filoni della sinistra rappresenta saldo punto di equilibrio.

Però se ieri fu l’emergenza terrorismo, oggi è quella economica. In via teorica, entrambi alibi per la mancata crescita della sinistra italiana. Allora era il Pci legato al mondo sovietico a dimostrarsi incapace di passare il guado del socialismo europeo, ora è il Pd  ineluttabilmente centrista, e sempre in foia per il potere, a sfuggire ancora una volta al redde rationem col socialismo europeo. Finirà con l’ennesimo contorcimento di budella. Con l’ennesima anomalia italiana. Il famolostrano  cui siamo abituati.

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