Gira e rigira, nelle vicende più vere e drammatiche della politica, si vira verso il tragico. Torna cioè prepotentemente il “paradosso della democrazia“. Pur di non cedere ai barboni bigotti e fanatici dell’Islam (votati soprattutto nelle arretrate campagne egiziane), l’evoluto (si fa per dire) popolo del Cairo va in piazza e inneggia al golpe dell’esercito. Fine della “finzione” democratica. Fine del teatrino. Fine della ricreazione. Il potere non sta nei soviet, sta in chi può esercitare il monopolio della forza (in alternativa moderna, quello della moneta).

La querelle (che alimentò una bellissima, celebre disquisizione in punta di diritto tra Kelsen e Schmitt) resta il nodo che l’umanità non riesce a superare. La “democrazia” è un lusso, che ci si concede quando si sono superate le fasi più cruente e difficili dello stare assieme, dell’approvvigionamento delle risorse, del  cosiddetto “benessere collettivo”. In questo senso va inteso il suo legame a doppio filo con il sistema capitalistico occidentale: se l’economia funziona, ogni Paese trova il proprio modo di far stare a tavola con garbo i commensali. Dunque la “forma” democratica assurge a un teorico universalismo.  Ma se l’economia langue ecco aprirsi le prime crepe, che alle nostre latitudini riguardano più la compressione della ricchezza e dei diritti che il monopolio della violenza. Una (sia pur relativa) fortuna, in fin dei conti, perché nei Paesi non occidentali – come dimostrano mille esperienze e da ultimo le “primavere arabe” -, si torna allo scontro in armi (spesso eterodiretto dai Paesi occidentali, peraltro). Più o meno cruento, a seconda di fattori contingenti legati a ogni specifico contesto. Per questo fanno anche un po’ pena e un po’ ridere, per il tono grottesco che assumono, alcuni tonitruanti proclami dei grillini (come un tempo dei leghisti o dei contestatori in pantofole di peluche che ci meritiamo).

Questo paradosso può diventare anche l'”alibi” di un dittatore; chè in democrazia la maggioranza non sceglie il “meglio” bensì ciò che “crede d’essere il meglio“. Relativismo che, rinunciando a ogni intervento di forza, può far vincere i talebani in Afghanistan, Hitler nel ’33, i Fratelli musulmani in Egitto (detto per inciso e senza alcuna simpatia, tra gli esempi storici sembravano essere i più provinciali e tutto sommato i meno nefasti). Giusto allora l’intervento dei generali? Oggi tra le variabili che vanno considerate assume particolare rilevanza l’incidenza dei mezzi di comunicazione, le televisioni e la Rete. Una complessità maggiore che talora riesce a farci risparmiare qualche cadavere e qualche bagno di sangue. Non in Siria, però. Segno che la storia non procede verso un luminoso sol della democrazia, che pieno di ripiegamenti è il cammino della civiltà, che la questione è ben lungi dall’essere risolta. Guardar le cose con ipocrisia non fa altro che rispecchiare la sostanza democratica. Ma dirselo, forse, aumenta le possibilità che essa venga difesa e sopravviva. E chi non preferisce, in fondo, crogiolarsi in un bene di lusso piuttosto che tuffarsi in una vasca di primitiva rudezza?

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