Nessuno ha voglia dell’intervento in Siria, sia chiaro. Per Obama si tratta di una scelta obbligata, che probabilmente costerà molto agli Usa e alla sua personale immagine, dettata dai gravi errori compiuti in precedenza. Primo dei quali, i due ultimatum lanciati a Bashur Assad sull’utilizzo di armi chimiche, “linea rossa da non oltrepassare”. Visto che il macellaio di Damasco l’ha oltrepassata in (almeno) due occasioni, come restare inermi e non perdere la faccia? Questo è stato il dilemma dell’amministrazione americana, che però sembra ormai decisa a impartire una severa punizione al presidente siriano, stando ben attenta a non lasciarsi trascinare nel conflitto (e tanto meno nel sostegno alla composita formazione degli anti-Assad, forse persino più pericolosa del morente regime damasceno, e neppure immune dal sospetto di aver praticato atrocità pari a quelle di Assad).

Detto questo, però, non è soltanto per la salvaguardia di superiori principi morali che l’intervento nell’area s’è reso obbligatorio. Né si può convenire con il cinico suggerimento che arriva dal professor Luttwak (“all’Occidente conviene stare alla larga dal conflitto e aspettare che gli arabi si scannino tra di loro”): nella diplomazia il realismo è una pratica costante e importante, ma una vera politica internazionale non si è mai basata sul breve-medio periodo, sul corto raggio, sul piccolo interesse. Dunque, se l’America da qualche tempo guarda con maggiore interesse all’area del Pacifico e dell’Asia, in quello che fu il Mare Nostro – il cortile di casa sul quale non possiamo permetterci l’indifferenza – si nota un’assenza ingiustificata e ignobile. E se l’Italia non esiste, con una Bonino persino filo-Assad (in barba a una storia radicale di diritti civili e umani), ancora una volta è l’intera Europa a distinguersi per la propria inerzia, la propria inutilità, la propria debolezza congenita. Una miopia imbarazzante, considerato che ciò che accade nei Paesi arabi riguarda da vicino, e ancor di più riguarderà nel prossimo futuro, l’intera Unione europea. Non soltanto i Paesi del Sud, prime vittime magari delle ondate migratorie, ma anche e soprattutto il cuore dell’Europa, afflitto peraltro da una decrescita demografica che ne fa prefigurare, presto o tardi, una pesante colonizzazione di tipo islamico. I ricchi tedeschi pensano corto: hanno sempre più bisogno di immigrati che lavorino nelle loro industrie, che paghino le loro pensioni, e non si curano degli effetti che sul lungo periodo questo fenomeno avrà sulla loro stessa società. Così l’Unione rispecchia sempre più l’immagine del suo padrone tedesco, e la Germania la pochezza della bottegaia ex burocrate ddr Angela Merkel, ben attenta a non muovere un dito in vista delle elezioni di settembre. Una posizione, quella della Germania, che non pecca di realismo, bensì di totale incapacità a svolgere un ruolo di leadership (come già la crisi economica ha ben evidenziato). Che dire, di un’Europa che demanda sempre al grande alleato americano le proprie responsabilità? Che farsene, di questo nano politico, cattivo amministratore dei propri affari, doppiopesista morale? Dio acceca chi vuol perdere, e l’Europa brancola nel buio.

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