Non andrei a lezione di bon ton da un ragazzo cresciuto nel quartiere più malfamato di una megalopoli sudamericana. Non lo eleggerei magister elegantiarum neppure se avesse fatto fortuna grazie allo speciale talento nel gioco del pallone. Semmai vorrei averlo avuto come compagno di squadra, o magari allenatore. O mi contenterei di sentirlo parlare della sua romanzesca parabola; meglio ancora, di continuare a vedere – come ho fatto ai tempi – le sue parabole incredibili in campo, i magici palleggi con un limone, il senso tattico, i dribbling che hanno esaltato la comune giovinezza. Segno di tempi grami e karma del campione, la sorte toccata a Diego Armando Maradona: icona plebea e involontaria misura della nostra pochezza intellettiva.

La grottesca polemica scatenatasi sul suo ombrello de dios in televisione da Fazio trova la sua nemesi, la sua impareggiabile stoltezza, grazie al lavoro onesto di un giornalista che fa il suo mestiere. Che, di fronte alla realtà, non passa cialtronescamente allo scontato giudizio ex cathedra, alla censura morale un tanto il chilo, ma approfondisce, vuole sapere, si fa delle domande. Come ha fatto il collega Franco Bechis, ricostruendo l’intera vicenda della presunta frode fiscale del Pibe de oro ai danni dell’Erario italiano, ennesimo esempio dell’approssimazione con la quale tanto i funzionari dell’Agenzia delle Entrate, quanto gli zelanti gabellieri di Equitalia interpretano il proprio lavoro. Si scopre così che Dieguito non ha affatto colpe, o del tutto veniali, nella vicenda che smuove tante cattive coscienze. E che l’implacabile Dracula fiscale ha perduto l’ennesima occasione per dimostrarsi equa misura di nostra solidarietà civile, servizio al cittadino e non occhiuto tartassatore. Non doveva 39 milioni di euro, Maradona, non ha fatto il “furbetto”, non è stato per niente disonesto. Si rinvia alla ricostruzione puntuale di Bechis chi volesse il dettaglio del caso tributario. (http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/1335660/Maradona-ha-ragione–non-e-un-evasore.html)

A Cesare quel che è di Cesare, dunque. Ma all’Evasore de dios quel che gli spetta, compresa la rabbia di un gesto plebeo che non andrebbe mai fatto, specie nei salotti (eppure scagli la prima pietra chi non l’ha mai fatto), e specie in tv  (eppure a ben altro siamo abituati dal nostro caravanserraglio televisivo che passa di studio in studio, di trasmissione in trasmissione). A Maradona tocca l’onore di aver ragione nel merito e di non poterla far valere per le sconclusionate regole di una sconclusionata burocrazia (poi dice che uno si butta nell’odio, direbbe Totò). A noi lo sconcerto di fronte a un Paese che non funziona neppure quando potrebbe o quando dovrebbe dimostrarsi minimamente efficiente. Certo, innanzitutto con i povericristi; e Dieguito non lo è. Però nel suo gesto el Pibe ha dato plasticamente voce anche alla miriade di persone che si sono imbattute nell’imbattibile Moloch delle Tasse pretese ingiustamente. Nella sofferenza quotidiana di chi si ritrova impotente di fronte all’impalpabile violenza di un abuso che ti rende impotente soprattutto perché cieco. Perché le responsabilità sfuggono, e i colpevoli non si trovano mai, ma intanto tu devi pagare caro. Devi pagare tutto: anzi, di più.

Infine, scusate se è poco, va segnalata la scarsezza, il pressappochismo, il malvezzo censorio dei nostri colleghi giornalisti che si sono scagliati come un sol uomo in un tiro facile al piccione argentino, non certo un “potere forte” di quelli che animano l’informazione italiana e davanti al quale si sta molto meglio in ginocchio. Dieguito è stato tacciato di disonestà, di furbizia e paragonato da certe tricoteuses di sinistra (qualcuna anche di destra) persino ad Al Capone, per lo sbrego maleducato al bon ton conformista. Se a nessun giornalista di questi è venuta la curiosità di Bechis, pazienza: riguarda soltanto il saper (voler) fare il proprio mestiere. Ma una risata liberatoria, plebea, li sommerga per quanto hanno scritto non sapendone nulla e non volendone sapere nulla. Accontentandosi di inarcare il sopracciglio a comando, per scrivere le solite esagerazioni senza senso. Questa non è più la civilissima funzione di scavare nei fatti. E’ la prosopopea, tutta italiana, di cittadini malati di chiacchiera insulsa. Capaci di tutto, ma buoni a nulla.

 

 

 

 

 

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