In fondo in fondo non si sa se prendere sul serio l’incontro di Palazzo Chigi tra Matteo Renzi e Romano Prodi. Troppo furbi entrambi per fidarsi l’uno dell’altro. Si dice che il premier abbia tentato di usare lo “specchietto per le allodole” per ridimensionare il peso di Berlusconi, ma non è chiaro se e perché il vecchio Prof si sia prestato a un giochino così manifesto e – per lui – poco dignitoso. Peraltro senza aver ancora digerito lo smacco della <carica dei Centouno>. L’alternativa a questa tesi è che i due facciano sul serio, e in tal caso il Giovin Signore di Firenze abbia deciso di appoggiare il Babbo dell’Ulivo per consentirgli l’ingresso trionfale al Qurinale (sempre che Cinquestelle e l’intero Pd ne abbian voglia nell’urna benedetta). Partita di scambio di questo <anti-patto del Nazareno> sarebbe la promessa, fatta da Prodi, di concedere le elezioni anticipate qualora il premier non veda altre vie d’uscita.

Questo lo scenario degli <addetti ai lavori>. Ma resta pur sempre una considerazione da fare, indipendente dalla veridicità di una o dell’altra versione (solo il tempo saprà dire quale). Emerge dalle schiette parole dell’ex segretario pidino che pure provò a portare Romano sul Colle, Pier Luigi Bersani.  <Siamo tutti figli dell’Ulivo, tutti quanti, anche Renzi lo è>. La frase ha una sua suggestione e un carico profondo di verità. La cavalcata trionfante del puledrino Matteo è giunta al dunque: chiacchiera per chiacchiera, il Ragazzo ha avuto un effetto positivo sull’umore italico, ma nulla di più. Finora Renzi ha approfittato della mancanza di alternative, che ne facevano il candidato unico per la (mezza) stagione. Vuoi perché è vero che le <mezze stagioni> ormai non esistono più, vuoi perché il destino dell’Italia resta appeso alle decisioni europee, e il Ragazzo viene trattato a Bruxelles come un simpatico inoffensivo burlone, fatto sta che anche lui, figlio <spurio> dell’Ulivo, si rivolge al Papà Putativo in cerca di soccorso. Matteo chiama, Romano risponde. Quasi quasi, vien da dire che il Ventennio è passato invano: ora comandano i figli ma il <babbo> non è affatto morto. Le colpe, dei primi e dei secondi, ricadono sugli italiani.