Il partito? Un taxi che prendo ma non pago
Come nel western-spaghetti che è la nostra politica, ci sono volti in Parlamento che rappresentano le diverse facce della stessa medaglia. Peccato che sia sempre quella di bronzo.
Prendiamo il <belloccio> Matteo Richetti, emiliano, renziano d’avanguardia finito a litigare con il premier e dunque in un cono d’ombra, sia pure attenuato da ampi squarci di luce televisiva. Si tratta infatti dell’ospite-tipo nel quale t’imbatti a qualsiasi ora, su qualsiasi rete, seduto a qualsiasi talk chiacchiera-e-distintivo (piace da matti alle/ai quarantenni, pare). Il <bruttino> della storiella è invece tal Massimo Florio, deputato astigiano quasi-modello, con l’81 per cento di presenze in aula e un indice di attività non del tutto disprezzabile, trattandosi di un travet del Parlamento: 123.mo su 630 (vale a dire che se fosse una gara tra dieci lui arriverebbe secondo). Infine il <cattivello> in quanto adeguatosi in batter d’occhio agli standard della Penisola dei furbetti: Khalid Chaouki, deputato d’origine marocchina, superimpegnato e superesposto sul versante dei diritti degli immigrati, ma che non lesina scorribande a largo raggio – e ieri persino a proposito dei gazebo di piazza Navona (plaudiva alla sentenza del Tar che dà loro torto).
Fin qui diciamo che saremmo ancora nel <bello> di fare politica (absit iniuria verbis). Ma subito dopo comincia il <brutto>, come ricordava la presidente della Camera, Laura Boldrini, l’altro giorno. Dobbiamo riflettere, dice la Poltronissima di Montecitorio. Ma noi l’avevamo già fatto (vedere tanti post fa) e ci sembrava effettivamente un po’ stupido e prematuro buttare via il finanziamento pubblico della politica assieme all’acqua sporca della corruzione (che sempre c’è stata e sempre ci sarà). «Ma siamo sicuri – si rodeva di dubbi la Boldrini -, che il privato finanzi la politica per amore della cosa pubblica? Non saranno pronti a presentare il conto?». In effetti sì, anche se è vero che ultimamente in Mafia Capitale si deduce che siano direttamente i privati a occuparsi e preoccuparsi dell’intera filiera: chi spedire in Parlamento, che cosa fargli fare, quando farlo cadere. Così, in effetti, il problema del finanziamento dei privati si sarebbe autorisolto, e alla radice. Ma in attesa che venga generalizzato diventando routine, tra i vari guai derivanti dal costo della politica e dalla scarsità delle risorse (dopo tanto bengodi) c’è pure la vecchia usanza di versare l'<obolo> al partito. Un tempo era tradizione e carattere distintivo soltanto dei partiti di sinistra. Ma oggi, con le vacche magre che corrono, sembra diventata questa dell’autofinanziamento degli eletti un’assoluta esigenza per tutte le formazioni politiche organizzate. Pena il fallimento immediato. Così sta accadendo, infatti: in tutti i partiti, a livello nazionale ma soprattutto locale, che poi rappresenta la <cinghia di trasmissione> di ogni deputato e/o senatore: quella che ti fa crescere, ti sostiene e ti aiuta, ti fa prendere i voti e ti spedisce a Roma a far la <dolce vita> (era uno stereotipo bolso e qualunquista, ora è considerazione ovvia). A pensarci bene, e studiandola con minuziosità, questo meccanismo potrebbe diventare la forma più corretta di autofinanziamento. Basterebbe rovesciarlo totalmente: pagare gli stipendi dei parlamentari ai partiti, enti riconosciuti con bilanci certificati e pubblici, e i partiti provvederebbero a pagare ai loro <eletti> stipendi conseguenti (si potrebbe persino immaginare una graduatoria di merito…). Non ci potrebbe più essere dissenso all’interno di un partito? No, perch una clausola renderebbe sempre libera l’espressione costituzionale del proprio pensiero senza discriminazioni, e in totale libertà di mandato.
Così torniamo invece al «cattivo» della politica e al filo che lega i tre personaggi di cui sopra, tutti e tre del Pd (ma diciamo che potrebbe essere un semplice caso). Matteo Richetti: deferito ai garanti del Pd regionale per non aver versato le quote al partito di Modena. Il tesoriere ha infatti ricordato da poco che i parlamentari emiliani non sono solo tenuti a versare i 1500 al partito nazionale, ma anche 2500 alla Federazione che li ha lanciati sulla ribalta maggiore (si sa: la gratitudine non è di questo mondo). Sterile difesa richettiana: «Ma se negli ultimi tre mesi ho dato 10mila euro alla tesoreria nazionale!?…». Appunto, non sa far di conto e invia soldi ai recapiti sbagliati (probabile che avesse fior di debiti anche con il Nazareno). Peggio pare messo Massimo Fiorio, per il quale si profila addirittura l’espulsione dal Pd di Asti, dopo l’accertamento che lo ha scoperto «moroso» per oltre la metà del dovuto. Non essendosi presentato neppure alla riunione nella quale si era chiamati a chiarire, Fiorio se n’è venuto fuori con una pietosa autodifesa, da quarta elementare: «Non sono potuto venire per gravi motivi famigliari, ma alla prossima riunione che farete chiarirò tutto e produrrò la documentazione che attesta la regolarità della mia posizione sui versamenti delle quote». Stupendo <vi pagherò domani>, tormentone di tante farse scarpettiane.
Dulcis in fundo, Khalid Chaoui, anche lui in cima all’elenco dei morosi nei confronti del Pd campano, che giace ormai quasi in bancarotta (mancano circa 800mila euro, gran parte dei mancati contributi degli eletti alle cariche pubbliche). Il capo regionale, Stefano Graziano non ne può più dei traccheggiamenti di Chaouki, delle scuse misere e delle assenze strategiche, delle promesse non mantenute, dei «vi pagherò domani» (anche lui). Al punto che ha mandato, tramite quotidiano cittadino, un vero e proprio ultimatum: «Paghi o si dimetta. Mi pare evidente che Khalid è di origine marocchina ma vuole fare l’indiano. È incredibile: da rappresentante di un partito che fa della trasparenza una sua bandiera, non può trincerarsi dietro il silenzio. Oltretutto siede in Parlamento senza essere passato per le parlamentarie, in un listitno bloccato, in una regione che non è la sua e quindi usurpando un posto. Chiedo che si dimetta e contemporaneamente chiedo scusa agli elettori che hanno votato la lista del Pd». Le scuse sono sempre un bel gesto; anche se ai morosi, di solito, basta tagliare i fili: specie se vengono <paracadutati> da Roma.