Carissimo (costosissimo) D’Alema, la Coop sei tu
Ma esattamente di che cosa ci scandalizziamo, quando ci scandalizziamo del vino di D’Alema? Che non sia buono? Che costi tanto? Che l’abbia prodotto con i guadagni di una vita di lavoro politico finanziato da noi tutti? Che sia stato ex presidente del Consiglio? Che da rottamato il suo posto dovrebbe essere all’auto-scasso?
Temo di no. A una prima lettura, a una prima riflessione, ci viene da scandalizzarci perché – hanno scritto, hanno detto – a comprare il vino era una Coop rossa. Anzi una delle prime Coop, dal nome che doveva anche metterci sull’avviso: “Concordia”. Dunque, la Concordia ha fatto l’inchino al (forse ex) potente, e D’Alema è andato a scogli. Più o meno come Schettinen, anzi Baffinen, scendendo per primo dalla nave malata della politica.
Ma no, non può essere neppure questo. D’Alema è ormai un comune cittadino, le relazioni che ha maturato nella sua carriera politica ha sempre provato a farle valere e, dunque, non c’è scandalo. Se il mio amico per farmi felice si compra duemila bottiglie della mia ciofeca, è lui lo stolto (o il benemerito, dipende dai punti di vista). Non chi mesce.
A una seconda riflessione, però, potremmo anche dire che ad acquistare il buon vinello non è stato neppure un amico generoso, bensì un parente stretto. Già, perché le Coop rosse sono il parente stretto di D’Alema, nonni cugini e zii stanno lì da quando Berta (anzi Baffone) filava, e perciò troviamo del tutto normale che in una famiglia ci si scambino regali e favori. Ci mancherebbe.
Dice: ma quelli si aspettavano favori dal futuro (però poi mancato) commissario europeo. Perciò: parenti serpenti e pure interessati. Una schifezza di famiglia, insomma. Ma sono stati ben ripagati: a) perché il vino di D’Alema era altrettanto sovrastimato (per non dire cattivo); b) perché col piffero che Renzi ha consentito a D’Alema di diventare commissario europeo. Nulla di fatto, parenti e serpenti zero a zero.
Se non fosse, però, per quelle duemila bottiglie di vino che non giudicheremmo mai cattivo senza prima averlo assaggiato (sempre che ce lo regali, D’Alema, chè mai acquisteremmo un vino inutilmente costoso).
Quindi ci avviciniamo alla fine, e alla terza più meditata riflessione. In Italia l’imprenditoria privata è libera, e non ci piove. Se l’imprenditore cerca di accattivarsi e conquistarsi un politico, lo sappiamo, è peccatuccio veniale. Se gli paga delle stecche per poter lavorare è – ancor prima di Tangentopoli e da che mondo è mondo – normale prassi, finché i carabinieri non lo scoprono e mandano in galera entrambi. Se non ha altra scelta per lavorare, se non di pagare la stecca al politico, siamo nel campo di Tangentopoli, e dunque vanno fatti sparire tutti i politici del giro (ma quelli del secondo giro, come sappiamo, sono assai peggio di quelli del primo, e lavorano – cioé rubano – per se stessi, non per il Partito).
Detto questo, dato a Cesare ciò che è di Cesare, ci poniamo una domanda. Ma che cosa sono invece le Coop? Nacquero in prospettiva mondiale, come risposta allo strapotere dei padroni, come libere associazioni di lavoratori che aspettavano il Sol dell’avvenire. Quel sole è tramontato, le Coop no. Anzi, si sono ingigantite. Sono dei mastodontici gruppi di lavoro, la cui struttura sarà anche formalmente diversa da quella di un’azienda privata, ma la sostanza è identica. Diremmo, per tagliar corto, che è venuta meno la ragione sociale del mettersi in cooperativa, ogni qualvolta si superi la dimensione di una combriccola di bravi artigiani o bravi professionisti. Quando si fanno mega-affari, la Coop dovrebbe essere esclusa per statuto dalle gare d’appalto. Proprio per questa sua vicinanza non sospetta, ma anzi rivendicata e conclamata, con il Politico di turno.
Se guardiamo alle Grandi Opere lanciate in questi decenni, i faraonici progetti strombazzati come meraviglie del mondo, scopriremo due cose. Che dietro ci sono gli interessi di investitori privati, e questo può essere legittimo tentativo di lobbing. Ma anche che dietro c’è sempre una megaCoop. E i politici che suonano la grancassa, se foraggiati di un’azienda privata, se la dovrebbero vedere con la propria coscienza e con i magistrati (quando ci scappa l’illecito). Ma se i politici sono in combutta con un’azienda cooperativa, che dunque mischia istituzionalmente i propri ideali politici e sociali con gli interessi aziendali, ecco che allora ci sta fregando. Vedi la Tav, vedi lo scandalo di Mafia capitale, vedi le grandi opere che hanno succhiato sangue ad opere di manutenzione magari più modeste, ma assai più utili per i cittadini.
In conclusione, sia assolto il cittadino D’Alema per aver venduto duemila bottiglie a zietti e cuginetti delle Coop. Sia vituperato l’ex politico D’Alema per aver perseguito, conseguito, inseguito il benessere delle grandi Coop rosse in ogni lavoro di ogni ordine e grado. Caro Max, la Coop sei tu. Ma noi volevamo di più.