Così i secessionismi europei fanno il gioco di Bruxelles
Se prima, a partire dalla Rivoluzione Francese, le centrali del potere erano a favore – in chiave anti-clericale e anti-imperiale – dei nazionalismi in Europa, oggi queste mirano alla distruzione della sovranità degli Stati per forgiare il “villaggio capitalistico globale”. Di conseguenza sorge questa domanda: per combattere l’ordine precostituito non diventa dunque necessario sostenere il concetto di “nazione” in quanto parametro filosofico-culturale di riferimento che non è l’unico possibile ma risulta quello strategicamente più pertinente?
Oggi i Veneti, domani i Triestini, i Lombardi, i Friulani, e poi ancora i Calabresi, i Siciliani, i Sardi. L’Italia rischia di implodere per due motivi: da una parte esiste una protesta legittima su scala locale contro uno Stato parassitario, burocratico, esattore, privato, dall’altra invece sussiste una legislazione che garantisce ad alcune regioni (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta), un’autonomia speciale mentre quelle ordinarie sono relativamente svincolate da un sistema che converge più verso il federalismo che al giacobinismo alla francese. La “balcanizzazione” dell’Italia è però solo il riflesso di quello che sta accadendo nel resto dell’Europa. Questo processo secessionistico è iniziato con la disintegrazione della Yugoslavia nel 1991 e rischia di diventare irreversibile per tutte le nazioni europee che possiedono all’interno movimenti e partiti indipendentisti o legislazioni flessibili. Si pensi alle rivendicazioni autonomiste in Spagna (baschi, catalani, ecc.), in Belgio (fiamminghi e valloni), in Francia (Corsica, Alsazia), o ancora al diritto dei “land” (potere esecutivo e legislativo) in Germania.
In realtà questi progetti, seppur idealmente identitari e autonomisti, non fanno altro che rinsaldare l’Unione Europea che a suo modo vede di buon occhio l’abolizione di ogni potere statale. Bruxelles infatti già promuove questa logica implosiva: da un lato ci sono i fondi strutturali (che non passano più nelle mani dei governi nazionali per poi essere ridistribuiti, ma si protraggano direttamente verso le regioni che li gestiscono a loro uso e consumo) dall’altro esistono alcune istituzioni riconosciute dal Trattato di Lisbona che hanno come obiettivo di mutare le frontiere attraverso una cooperazione locale e transfrontaliera (Alpen Adria, Assembly European Region, Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa). Le piccole patrie europee (dalla Repubblica di Venezia fino al Paese Basco passando per la Corsica e la Catalogna) hanno una storia millenaria, una forte identità e legittimamente custodiscono con gelosia la propria storia, ma è ancor più vero che questo ruolo di salvaguardia – ai tempi dell’ideologia europeista – deve perpetuarsi nel quadro nazionale. Secessione non fa sempre rima con sovranità. Niccolò Machiavelli affermava categoricamente che “uno Stato è libero e sovrano quando ha l’egemonia sulle armi e la moneta”. A cosa servirebbe invero conquistare l’indipendenza se poi l’economia gira intorno all’Euro e l’esercito viene subordinato al Comando militare della Nato?