Si intitola “Vedere è tutto”, ed è un libro che vi voglio consigliare. Edito da Contrasto, raccoglie dodici interviste con Henri Cartier-Bresson apparse su diversi giornali francesi tra il 1951 e il 1998 e, molte, mai più rieditate. Sono confessioni, conversazioni, racconti in ordine cronologico sul e del grande maestro, che ci aiutano a comprendere uno dei fondatori di Magnum Photo anche attraverso le parole che scelse per introdurre la sua pratica fotografica a chi lo interpellava. Curato da Clément Chéroux e Julie Jones del Centre Pompidou di Parigi, il testo  fa parte della fortunata collana “Lezioni di fotografia” che ha approfondito in passato autori come Alex Soth, Martin Parr, Willy Ronis. E di vere lezioni si tratta, in queste pagine. Cartier-Bresson, ci ha lasciato pochi scritti a spiegare il suo modo di lavorare, la sua visione fatta di emotività ed empatia con i soggetti. Qui il suo pensiero indaga un mondo fatto di invenzioni, di consapevolezze, di luci e ombre, di ritmi e soste, di momenti intimi o rubati per strada, dove al centro sta sempre l’essere umano, sua continua ricerca.

Il maestro ci svela lo sguardo umanista che usava per pesare, interrogare, decidere, che teneva sempre attento sulla realtà incontrata, e ci insegna che anche noi possiamo allenare e istruire il nosto vedere, prima di scattare. In ogni foto che realizziamo c’è un po’ del nostro bagaglio culturale, c’è la nostra esperienza di vita e il nostro intelletto. “Richiede parecchio tempo, imparare a guardare”, come Cartier-Bresson dice. Per questo, come nel titolo, vedere è tutto. Osservare la vita e fermarla per sempre in un clic era la cosa che lo interessava di più. Era “una specie di interrogazione perpetua e una risposta immediata”, (a saperla cogliere). “A me – prosegue – interessa un unico aspetto della fotografia. Ce ne sono tantissimi altri, ma ciò che mi commuove, che mi appassiona, è lo sguardo sulla vita (…) Questo tipo di fitografia è qualcosa di intuitivo, che aderisce alla realtà e sgorga dal profondi di se stessi: non si tratta di imporsi. René Char da qualche parte ha scritto, a proposito della poesia, che ci sono quelli che inventano e quelli che scoprono. Sono mondi del tutto diversi. Anche in fotografia ci sono questi due aspetti. Io mi interesso soltanto a quelli che scoprono; mi sento solidale con quelli che vanno alla scoperta; questo comporta molti più rischi che cercare di creare immagini dal niente; in fondo la realtà è già così ricca!”

Il libro ( (15×21 cm, 178 pagine, 19.90 euro), celebra anche i dieci anni dalla scomparsa dell’autore francese e anticipa la tappa italiana della grande antologica che ne ripercorre la carriera. Sarà allestita al Museo dell’Ara Pacis di Roma dal 26 settembre al 6 gennaio ed è ora ospitata al Centre Pompidou di Parigi.

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