ROBERT CAPA A COLORI
E’ uscito un libro che cambierà leggermente l’immagine che abbiamo di Robert Capa. Il padre del fotogiornalismo, a metà carriera decise di reinventarsi imparando a scattare in multicolor aggiungendo ulteriore dinamismo e vita al suo sguardo. Ora non immaginatevi il “Miliziano ferito a morte” o le celebri immagini dello sbarco in Normandia o ancora quelle iconiche degli americani che arrivano in Sicilia. Le sue celebri opere monocromatiche, così ben fissate nella nostra memoria quasi fossero la sola testimonianza del tempo da lui fermato con un clic, sono e rimarranno intatte. Nessuno, per fortuna, ha pensato di ripitturarle come si è fatto invece coi vecchi film. Solo che nessuno, fino a oggi, aveva neanche proposto al pubblico italiano quella parte meno nota del suo lavoro di grande inviato e che è a colori.
Pone rimedio a questa mancanza il volume edito da Electa dal titolo “Robert Capa. Colore” (208 pagine, 300 foto, 44,90 euro). Raccoglie una serie eterogenea che va da scene private di vita scattate in un resort in una località sciistica svizzera a rari ritratti fatti a Pablo Picasso o a Ernest Hemingway con i rispettivi figli, fino a un intero progetto realizzato per la rivista “Life” sui campi di battaglia in Indocina nel 1954 e rimasto inedito. A colori racconta di un gruppo di visitatori in trepidante attesa della rivelazione della tomba di Lenin nel 1940, o di Ava Gardner sul set di un suo film a Tivoli e di Truman Capote e Jennifer Jones a Ravello.
La pubblicazione è una felice traduzione dall’inglese del bel catalogo che accompagnava la retrospettiva “Capa in Color” che presentò lo scorso anno il Centro Internazionale di Fotografia di New York in occasione del centenario dalla nascita del reporter ungherese (Budapest, 1913 – Provincia di Thai Binh, 1954). La mostra era curata da Cynthia Young e radunava un centinaio di immagini vintage restaurate da un team di esperti dell’ICP. Fece scoprire ai molti visitatori che il maestro della fotografia in bianco e nero e il fondatore dell’Agenzia Magnum (con Henri Cartier-Bresson, George Rodger e David Seymour), iniziò a lavorare regolarmente con rullini a colori già nel 1941 e li utilizzò per tutta la vita prematuramente interrotta a causa di una mina calpestata durante la Prima Guerra d’Indocina. Questa rassegna, così come il volume ora disponibile in Italia, raccontano di un autore capace di passare facilmente da uno stile all’altro, e di scegliere l’uno o l’altro a seconda di cosa dovesse documentare. Le celebrazioni postume hanno sempre mostrato la sua produzione in bianco e nero. Riscoprire che ebbe anche una passione diversa amplia la nostra conoscenza di uno dei grandi occhi del Novecento. Il libro si divide in tredici sezioni tematiche che corrispondono ai maggiori incarichi assegnati a Capa: i reportage durante tutta la Seconda Guerra mondiale, il Nordafrica, il viaggio in U.R.S.S., i ritratti ai personaggi del jet set internazionale… In ogni sezione le fotografie, spesso a pagina intera, sono accompagnate da testi scritti dallo stesso Capa e in origine pubblicati sui quotidiani e sui mensili americani, oggi tradotti in italiano. Inclusi anche articoli storici, come quello del 1948 uscito su “Illustrated”, in cui il fotografo stesso racconta come sia nato il suo viaggio per la Russia all’alba di “una guerra di nuova invenzione che è stata denominata guerra fredda”, oppure pezzi più leggeri e ironici che raccontano le sue giornate in Norvegia o perfino i consigli tecnici su quale sensibilità ASA utilizzare per scattare sulla neve.