Giù le mani dal presepe!
Ci risiamo. Il Natale non s’è ancora affacciato neppure sul calendario che già è partita la crociata per tenerlo lontano dalle case. Nel mirino, il simbolo per eccellenza della Natività: il presepe. In Emilia Romagna l’Unione degli atei, agnostici e razionalisti ha preso carta e penna e scritto ai prèsidi per invitarli a superare certe abitudini, quali quella «del presepe cattolico a scuola». Non perché sia offensivo, riconoscono, ma per non mortificare «la scuola di Stato, tempio della cultura e delle culture, educatrice al rispetto e all’inclusività, nella sua funzione di fucina della società futura». Tutt’al più, suggeriscono magnanimi atei e affini, «si valorizzino le differenze». Come? Semplice: «Alternando il presepe ad una rappresentazione di mitologia greco-romana o della rivoluzione francese», o magari usandolo «per raffigurare la sofferenza terrena del terremoto, ma senza riferimenti religiosi». E se proprio non si potesse fare a meno di richiamare lo spirito natalizio, che si usi «non il presepe, ma un albero», pagàno e dunque religiosamente neutro.
Premesso che riesce difficile immaginare come un pacifico esercito di pastorelli di cartapesta con le sue pecore di cartone al seguito possa costituire un freno alle magnifiche sorti e progressive della scuola di Stato, di suo immaginariamente ridotta alla più diroccata delle capanne da mancanza di fondi e riforme parziali e contrastanti, resta da ricordare un elemento non considerato e però essenziale. Eppure sfuggito al senno degli agnostici di fede atea. Al pari dei miti greco-romani, della rivoluzione francese, del terremoto o di tutto quello che si vuole, il presepe è anche una rievocazione storica ed artistica. È la riproposizione del più grande avvenimento di sempre: la nascita a Betlemme, durante l’impero di Augusto, di un uomo chiamato Gesù. Che si creda o no in Dio, esiliare il presepe dalle scuole non significa soltanto sfregiare la tradizione di un popolo o della parte largamente maggioritaria di esso che si professa cristiana, ma vuol dire negare quegli stessi principi di laicità ai quali ci si richiama per motivare la deportazione nei gulag di ignare ed innocenti statuine: non c’è logica nel chiedere asilo per fatti storici e naturali e, al tempo stesso, invocarne l’ostracismo per altri. O meglio, una logica c’è: relativizzare tutto e privare di identità l’Italia e gli italiani. Toccherà morire gramsciani ed ammettere amaramente, come osservava proprio Gramsci nei suoi Quaderni, che «una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa. Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente». Appunto.