RENZISTI GONGOLANTI
I celebranti del renzismo gongolano; e hanno ragione. L’operazione Mattarella è stata un colpo da maestro come non si vedeva da tempo; un’operazione con cui Renzi ha ferito forse mortalmente il centrodestra.
Eppure in questi giorni sui media il dibattito si è concentrato esclusivamente sulla sconfitta di Berlusconi (indubbia), sulla crisi di Forza Italia (evidente), sulla deflagrazione di Ncd (palese) e sulla fine del centrodestra (possibile).
Agli osservatori è sfuggito che la vittoria di Renzi ha prodotto altri due risultati che, a lungo andare, potrebbero dimostrarsi pericolosi per il Premier. Il primo è la trasformazione della sinistra del Pd in un ectoplasma il cui ruolo è ormai di comprimario alla stagione renziana. Il secondo è la trasformazione di se stesso nel dominus assoluto della scena politica italiana, in una bulimia del potere che rischia di scontrarsi con le necessarie dinamiche di dialogo e di mediazione di ogni democrazia, soprattutto nelle fasi di attivazione di percorsi di riforme (problema questo ben chiaro ai renziani, tanto da dover essere esorcizzato dal ministro Boschi con la ridicola minaccia del “ce le facciamo da soli”).

DA EX-COMUNISTI A NEO-MANOVALI
Anche se l’elezione del Presidente della Repubblica è stata salutata dalla parte sinistra del Pd come una vittoria, la realtà è diversa: oggi gli ex comunisti si ritrovano con un vecchio demitiano al Quirinale ed un giovane demitiano a Palazzo Chigi, entrambi nominati da loro stessi.
Per gli eredi del Pci la trasformazione del proprio partito in una succursale democristiana in cui essere semplice manovalanza ad uso e consumo dei disegni del Premier, non può non generare conflitti.
Vedere celebrare la nomina di Mattarella con il profluvio d’interviste a De Mita e Leoluca Orlando, fa capire come la famosa “rottamazione” di Renzi fosse solo la rottamazione della sinistra: un maquillage necessario a togliersi di mezzo gli ex comunisti e consegnare il Pd al vecchio e nuovo blocco neo-democrsitiano.

L’AUTO-ISOLAMENTO DEL PREMIER
Inoltre l’ennesima vittoria di Renzi, paradossalmente, aumenta il suo isolamento e non contribuisce a portare più consenso. La sua spregiudicatezza e l’arroganza non s’accompagnano ad una particolare simpatia nell’opinione pubblica.
Renzi rimane un Presidente del Consiglio non eletto dai cittadini ma salito al potere con un imbarazzante gioco interno al Pd. Il suo piano di riforme per ora è fermo ai tweet; ed anche a livello internazionale l’ininfluente gestione del semestre europeo dell’Italia ha fatto abbassare le quotazioni europee del giovane leader italiano (cosa del resto manifestata dalla deprimente immagine del suo discorso di chiusura a Bruxelles davanti ad un Parlamento europeo deserto e indifferente alla sua presenza).

RENZI COME PIRRO
Chissà se i renziani sanno chi era Pirro, il re dell’Epiro e condottiero di una delle più spietate campagne per la conquista dell’Italia. Pirro fu colui che tre secoli prima di Cristo decise di farsi nemici tutti e insieme: in sei anni aprì conflitti con i Romani, i Cartaginesi e persino con quei Greci di Sicilia che lo avevano chiamato in aiuto; riuscì a crearsi ostilità dovunque e ad ogni sua vittoria perdeva pezzi del proprio esercito e accresceva il numero dei nemici, tanto che alla fine dovette fuggire dall’Italia e abbandonare i propositi di conquista.
Renzi rischia che le sue vittorie siano “vittorie di Pirro”. Con un’aggravante: che Pirro era di stirpe macedone e discendeva da Alessandro Magno; Renzi è di stirpe democristiana e discende da Ciriaco De Mita. La differenza non è da poco.

Su Twitter: @GiampaoloRossi

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