bill-hillary-clinton-668037HOUSE OF CARDS
675.000 dollari per tre discorsi davanti agli investitori di Goldman Sachs, sono troppi anche per lo smaliziato mondo politico americano abituato al cinismo di House of Cards. Eppure questo è quanto Hillary Clinton ha intascato nel 2013 dalla potente e discussa banca d’Affari al centro dei più devastanti scandali finanziari degli ultimi anni.
Per Hillary Clinton la questione dei suoi rapporti di contiguità (e dipendenza) con il sistema finanziario americano, è una sorta di tallone d’Achille della campagna elettorale; molto più dello scandalo mail o dei disastri compiuti in politica estera quando era Segretario di Stato.
Il suo rifiuto di rendere pubbliche le trascrizioni di quei discorsi fatti a porte chiuse ha alimentato congetture e polemiche. Su Politico.com un partecipante all’incontro ha rivelato che lei “sembrava più l’amministratore delegato della banca che un candidato alla presidenza degli Stati Uniti”.

 MILIONI, NO PEANUTS
La realtà è che quei 675.000 dollari che Hillary ha avuto da Goldman Sachs sono “peanuts” (come direbbero gli americani), rispetto ai milioni di dollari che lei e suo marito Bill continuano a guadagnare per la loro attività di speechmaking.

Un anno fa il NewYork Times (il giornale liberal per eccellenza) ha documentato che dal 1 gennaio 2014 a maggio 2015, i due coniugi avevano intascato quasi 30 milioni di dollari da banche, società private, organizzazioni no profit e think tank, con punte di onorario impressionanti come i 500.000 dollari che l’ex Presidente ha guadagnato per un discorso all’EAT Food Forum di Stoccolma per parlare di salute cibo e sostenibilità alimentare.
La signora Clinton non è da meno e pur non raggiungendo le cifre del marito, ha accumulato milioni di dollari per vendere le proprie visioni di un mondo migliore, oltre che alla Goldman, anche a Bank of America, Ubs, Deutsche Bank, Morgan Stanley, Merril Lynch e a colossi industriali come General Electric, Cisco, Microsoft.

UNA MACCHINA ATTIRA-DOLLARI
D’altro canto il rapporto virtuoso tra i coniugi Clinton e il denaro è riconosciuto da tutti; nella loro lunga carriera politica hanno saputo modellare un sistema di raccolta fondi per la politica (e per se stessi) unico ed impressionante, stimato dal Washington Post in 3 miliardi di dollari ricevuti da donatori privati che rappresentano il gotha del sistema economico di Wall Street: dall’immancabile George Soros (capofila dei finanziatori anche di questa campagna elettorale della Clinton per la quale ha donato nel 2015, 8 milioni di dollari) a capi di Hedge Fund e manager di primissimo livello.
Miliardi di dollari che sono confluiti nella loro Fondazione privata e nel Democratic Leadership Council il braccio riformatore del partito Democratico americano e presieduto per anni proprio da Bill Clinton.

Certo, ad appoggiare i Clinton ci sono un po’ tutti, per esempio la grande industria del sogno hollywoodiano (tra i loro principali finanziatori  Steven Spielberg e Haim Saban), ma sono le banche ed il mondo finanziario a farla da leoni: si stima che dalla sua discesa in campo per queste presidenziali, Hillary abbia ricevuto dal mondo bancario finanziamenti per oltre 6 milioni di dollari, oltre ai circa 3 milioni incassati per i suoi discorsi.

E IN CAMBIO COSA?
Ovviamente questa mole di soldi è tutta legale ma non è difficile immaginare che non venga data a fondo perduto.
Nel suo primo mandato Bill Clinton, nominò il presidente di Goldman Sachs, Robert Rubin, suo Segretario al Tesoro; e fu lui l’artefice dell’abrogazione della Glass Steagall (la legge del 1933 che distingueva l’attività bancaria tradizionale dall’attività d’investimento) consentendo l’espandersi della speculazione finanziaria; e fu sempre Clinton a firmare il Commodity Futures Modernization Act che liberalizzò l’uso dei derivati.
E sotto il suo mandato fu elaborata la cosiddetta “Dottrina Holder” (dal nome del suo vice-Procuratore Generale) secondo cui nei processi contro comportamenti fraudolenti delle banche, bisogna prendere in cosiderazione le eventuali ricadute di una condanna sull’economia; un modo per dire che “la legge è uguale per tutti” ma per i banchieri un po’ meno, principio applicato poi nel cosiddetto “Too Big To Fail”, da Bush e da Obama per gli scandali finanziari che hanno costellato i loro mandati.

 CONCLUSIONI (AMARE)
L’immagine di una candidata alla Presidenza degli Stati Uniti che guadagna milioni di dollari dai suoi legami con Wall Street e con il sistema finanziario americano rende l’idea di chi muove le fila della democrazia americana;

Più evidentemente, la sinistra americana ha lo stesso orizzonte di valori di quella italiana: il cuore certo a sinistra dalla parte degli ultimi, ma il potafoglio rigorosamente a destra, dalla parte dei pochi.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

Articoli correlati:
La Clinton presidente, un rischio per l’Europa
Il delirio di George Soros

Tag: