Esattamente come accadde in America in seguito all’11 settembre, dopo l’eccidio di Parigi nulla in Europa sarà più come prima. La grande manifestazione di domenica, con la partecipazione di esponenti di tutte le religioni e perfino di Paesi come la Turchia che hanno dato una mano concreta all’ISIS  è stata una reazione encomiabile, di orgoglio, di rifiuto della paura, di solidarietà per le vittime, ma alla lunga non cambierà la realtà delle cose: una frattura sempre più accentuata tra noi cittadini europei e la comunità di 16 milioni di musulmani che ormai vive tra noi. Tutti sappiamo che gli jihadisti sono per ora una piccola minoranza, ma la storia di tutti gli attentatori, da quelli di Tolosa a quelli di Bruxelles a quelli di Parigi, dimostra come possano essere rapide le conversioni, come la subdola propaganda praticata in certe moschee e soprattutto su internet sia in grado di cambiare in brave tempo l’orientamento di un individuo. Sentiamo parlare ogni ora di “lupi solitari”, di microstrutture di jihadisti di ritorno, di “cellule in sonno” che si celano tra noi da chissà quanto tempo e che possono entrare in azione in qualsiasi momento, per volontà propria o per un ordine arrivato da lontano. Ci rendiamo conto che, come hanno ammesso gli stessi servizi francesi quando sono stati messi sotto accusa per non avere sorvegliato adeguatamente tre personaggi già segnalati perfino a livello internazionale per la loro potenziale pericolosità, che le forze a disposizione non bastano a tenere sotto controllo tutti i sospetti o a proteggere tutti gli obbiettivi e che pertanto anche la tanto decantata “prevenzione” ha i suoi limiti.  La conseguenza inevitabile è che tendiamo a non credere alle rassicurazioni che ci vengono dai leader (e, ahimè, neppure tutti) della comunità islamica, che cominciamo a guardare con diffidenza ogni immigrato con la barba lunga anche se è il titolare del kebab dell’angolo e che temiamo che tutti coloro (e purtroppo sono tanti) che oggi commettono reati comuni – stupri, rapine, o anche omicidi – possano diventare imitatori dei fratelli Kouachi o di Amedy Coulibaly. La moltiplicazione degli allarmi – ultimo della serie, un prossimo attacco al Vaticano – contribuisce a creare una psicosi che non potrà non riflettersi sulla nostra vita quotidiana, modificando i nostri comportamenti. Anche i social media, con i loro commenti che vanno da un estremo all’altro, contribuiscono ad alimentare le tensioni. Torna di moda il detto “Non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici”. Tornano di attualità le fatwe pronunciate contro tutti coloro che hanno parlato o scritto male dell’Islam o “insultato” Maometto, e il versetto del Corano più citato è quello che noi siamo degli infedeli, da convertire e integrare o da combattere e uccidere. Se lo scopo dei terroristi, che siano affiliati all’ISIS o ad Al Qaeda, è quello di seminare odio e intolleranza, con l’obbiettivo di rendere inevitabile uno scontro di civiltà che ci riporterebbe indietro nei secoli,ci sono perfettamente riusciti.

A seguito di questa polarizzazione, ne registriamo una altrettanto preoccupante tra le nostre forze politiche, i tutti i Paesi. In barba alle esortazioni all’unità del presidente Hollande, i toni con cui destra e sinistra hanno condannato il massacro non potrebbero essere più diversi. E’ a mio avviso gravissimo che dalla manifestazione di Parigi sia stata deliberatamente esclusa Marine Le Pen, che pure rappresenta un quarto dei francesi, come è gravissimo che tanti esponenti politici spingano la loro volontà di distinguere tra Islam buono e cattivo fin quasi a giustificare quanto è accaduto o -ancora peggio – pensino che gli attentati siano stati in realtà orchestrati dagli stessi servizi segreti francesi, dal Mossad o da altri poteri occulti allo scopo di acuire le tensioni e l’opposizione all’immigrazione. Se è così che crediamo di affrontare la minaccia, ci sbagliamo di grosso. Purtroppo, le differenze di opinione si stanno già riflettendo anche sulle decisioni che l’Europa deve prendere d’urgenza per cercare di evitare un bis di Parigi, magari anche più sanguinoso e spettacolare. C’è chi vuole sospendere il trattato di Schengen e ripristinare i controlli alle frontiere, chi vuole estendere la sorveglianza elettronica e telefonica, chi ritiene indispensabile un accesso delle polizie alle liste dei passeggeri delle linee aeree; chi invece difende la libertà di circolazione e i diritti alla privacy. Nell’atmosfera attuale, finiranno con il prevalere i falchi: un fatto positivo sul piano della (sperata) sicurezza, ma anche una ulteriore limitazione delle libertà di tutti, o addirittura, secondo in pessimisti, un ulteriore passo verso lo Stato orwelliano.

Un altro cambiamento negativo sarà di accelerare la fuga degli ebrei dall’Europa. Dalla sola Francia, lo scorso anno ne sono emigrati in Israele 7.000, e dopo il massacro del supermercato kosher nel 2015 saranno anche di più. La decisione delle famiglie delle vittime di seppellire i loro morti non a Parigi, ma a Gerusalemme è in proposito estremamente significativa. Ridotti dalla shoah a poco più d’un milione e in diminuzione, gli ebrei d’Europa si sentono minacciati non solo dai 16 milioni di musulmani in continuo aumento, ma anche dalle ormai quasi quotidiane manifestazioni di antisemitismo e dall’orientamento sempre più filopalestinese di molti governi della UE. Visto che nulla sarà più come prima, ci auguriamo che tra le novità introdotte dal nostro 11 settembre ci sia almeno un mutato atteggiamento verso lo Stato ebraico, che non può essere spinto, visto il dilagare dello jihadismo, ad accettare senza ferree garanzie a pochi chilometri da Tel Aviv uno Stato islamico che potrebbe presto finire sotto il dominio di Hamas. Rendiamoci finalmente conto che se, come crediamo, l’islamismo estremista ci ha dichiarato guerra, Israele, unico avamposto sicuro dell’Occidente in Medio Oriente, è il nostro più prezioso alleato; e se costruisce qualche migliaio di case nei territori occupati, pazienza: ci sono cose ben più gravi di cui dobbiamo occcuparci.t

Tag: , , ,