Il Papa, i figli, e il declino dell’Europa
Hanno destato una certa sensazione le dichiarazioni di Papa Bergoglio sulla natalità al suo ritorno dalle Filippine. Non dobbiamo fare figli come i conigli, ha cominciato a dire, e poi ha concluso che tre sono l’ideale. Qualcuno ha interpretato le sue parole come una parziale correzione delle posizioni di Paolo VI contro l’uso dei contraccettivi, nel senso che, per limitare un eccessivo aumento della popolazione nei Paesi extraeuropei, è comunque necessario intervenire in qualche modo. E’ probabile. Ma, visto che le parole di Francesco sono state pronunciate a metà strada tra l’Asia e l’Europa, mi sono chiesto a chi siano rivolte in realtà le sue esortazioni. Ai filippini, che sicuramente fanno ancora troppi figli, costringendo una parte notevole della popolazione ad emigrare per sopravvivere, o a noi europei, che invece dei tre figli da lui auspicati, ne facciamo 1,6 per ogni donna fertile, condannando il nostro continente a un rapido invecchiamento, e di conseguenza a un inevitabile declino?
Da lungo tempo io sono persuaso che il problema demografico euroepo, dovuto a un complesso di fattori che vanno dall’edonismo alla emancipazione della donna, dall’invenzione di contraccettivi sempre più efficaci alla legalizzazione dell’aborto, dalla diminuita influenza della chiesa cattolica al crescente costo dei figli, sia una delle cause principali del declino del nostro continente.Lo stesso Pontefice, del resto, aveva già toccato l’argomento nel suo discorso di novembre davanti al Parlamento europeo, quando aveva parlato di “una impressione di stanchezza e di invecchiamento di un’Europa che ora, più di una madre, è una nonna, non più fertile e vibrante”. Nel muoverci questo rimprovero, si basava su dati incontrovertibili. Nel 2014, quasi un europeo su cinque aveva un’età superiore ai 65 anni, e se continueranno le tendenze attuali, e nel 2030 saranno uno su quattro. Questo, aggiunto all’allungamento della vita media, ha conseguenze drammatiche non solo sui sistemi pensionistici, che infatti devono essere continuamente corretti per non andare in fallimento, ma anche sulla politica, nel senso che Parlamenti eletti da un elettorato sempre più anziano tenderà inevitabilmente a favorire i vecchi sui giovani nella distribuzione delle risorse. Alle radici dell’invecchiamento, c’è naturalmente il tasso di natalità più basso del mondo, con la moltiplicazione dei figli unici. E’ dagli anni 70, cioè da quasi mezzo secolo, che in Europa non si fanno più abbastanza figli per mantenere stabile il livello della popolazione autoctona. I tentativi di rimediare con politiche di sostegno alle famiglie non hanno avuto molto successo, con la sola eccezione della Francia dove la fertilità è tuttora di due figli per donna (ma anche a causa della presenza di un 12% di immigrati, assai più prolifici). Ma, anche se non fosse così, è normale che, per indurre le famiglie ad avere più figli, sia necessario pagarle?
L’invecchiamento della popolazione fa naturalmente anche sì che continui a diminuire la percentuale della popolazione attiva, con inevitabili ripercussioni sulla produttività e sullo sviluppo (e da questo punto di vista l’Italia, con il suo 49,1% rapportato al 57,5% della media UE, è particolarmente carente). Il problema è che il fenomeno è ormai talmente radicato, che se anche dessimo retta a Papa Francesco e tutte le coppie si mettessero a fare tre figli – cosa assolutamente improbabile – ci vorrebbe una generazione per raddrizzare la situazione, ed è un tempo troppo lungo per fermare il declino.
Naturalmente, c’è chi crede di avere il rimedio pronto: l’immigrazione, che in effetti fino adesso ha fatto sì che la popolazione dei principali Paesi europei rimanesse stabile o continuasse leggermente ad aumentare. Ma se, da un lato,, l’arrivo di tanti stranieri da Paesi in via di sviluppo ha risolto alcuni problemi (in primis, la copertura di posti di lavoro manuali che noi non consideriamo più accettabili), dall’altro ne ha creati tantissimi altri, che per giunta stanno crescendo in maniera esponenziale: l’inevitabile scontro di civiltà con chi proviene dal mondo islamico, il pericolo sempre più incombente del terrorismo “domestico”, la crescita di movimenti populisti tesi a difendere la nostra identità e – forse alla lunga il più grave – il graduale superamento della nostra civiltà, intesa come leggi, costumi, cultura. Ho appena finito di leggere “Sottomissione”, l’ormai famoso romanzo di Houellebecq, in cui si ipotizza che nel 2022 le elezioni presidenziali francesi saranno vinte dal candidato della Fratellanza musulmana, con il sostegno sia dei socialisti, sia dei gollisti. Per quanto si tratti, appunto, di un romanzo, la descrizione dei rapidi mutamenti che una simile eventualità porterebbe nel nostro vivere civile è tanto realistica quanto inquietante; e, in un certo senso, anticipa solo il calcolo che, al ritmo attuale dell’immigrazione, nel 2060 la popolazione straniera, o almeno di origine straniera, di Milano supererà quella italiana (e pottremmo avere, a nostra volta, un sindaco islamico)
Per Papa Francesco, probabilmente, questa ipotesi non è drammatica. Non è come il cardinale Biffi che una volta disse, attirandosi gli strali dei politically correct, che se proprio dovevamo ricorrere all’immigrazione, privilegiassimo quella cattolica. Ma mi auguro che la sua raccomandazione – tre figli a coppia – sia raccolta dal maggior numero possibile di europei, anche se essa non era rivolta specificamente a loro: insomma, una specie di sussulto di orgoglio etnico.