Quando i boia dell’ISIS hanno decapitato due giapponesi, cittadini di un Paese lontano che non aveva preso alcuna iniziativa contro di loro, ho cominciato a chiedermi che senso avesse per loro farsi un ennesimo nemico senza ricavarne alcun apparente vantaggio. Quando hanno bruciato vivo il pilota giordano, cioè un musulmano sunnita come loro la cui unica colpa era di avere obbedito a degli ordini e doveva essere considerato un prigioniero di guerra, mi sono chiesto se si rendevano conto che, con quell’azione barbarica avrebbero scatenato contro di loro anche buona parte di quel mondo arabo che, fino a quel momento, aveva mantenuto nei loro confronti un atteggiamento abbastanza ambiguo. Quando hanno fatto seguire le tre esecuzioni-shock da una serie di messaggi in cui minacciavano tutti i Paesi europei che- con lo spiegamento di mezzi militari o anche soltanto a parole – si erano scagliati contro di loro, ho cominciato a riflettere su quali sono i reali obbiettivi della loro organizzazione, più feroce di Al Qaeda e con ambizioni territoriali che Osama Bin Laden non aveva. Pensa davvero, l’ISIS, di potere sfidare il mondo intero solo con il ricorso al terrore e all’intimidazione? Vuole diventare il polo di attrazione per tutti i giovani dell’universo islamico (1,6 miliardi di persone) che hanno una specie di “culto della morte”, ispirandosi alla setta degli “Assassini” che imperversò nel Medio Oriente nei secoli bui? Le loro azioni sono veramente ispirate solo dalla jihad, dalla volontà di imporre a tutti anche con metodi barbari la versione più primitiva e crudele dell’Islam e di eliminare tutti coloro che non li vogliono seguire su questa strada? Vogliono vendicare l’Islam per le sconfitte che ha subito nel corsio dei secoli dai “crociati”? O, ipotesi estrema, sono affini ai Khmer rossi, che in nome di una ideologia perversa sterminarono un terzo della popolazione cambogiana per “purificarla”?

Forse, la risposta sta nella combinazione di tutti  questi fattori, ma per ora non abbiamo elementi certi. Il sedicente Califfo, Al Bghdadi, rimane un personaggio misterioso e quasi nulla sappiamo degli uomini che lo circondano e che, con non più di 30.000 combattenti, sono riusciti a impadronirsi di un territorio vasto come mezza Italia e – a quanto trapela da un territorio in cui nessun giornalista osa più avventurarsi – perfino a farne uno Stato funzionante. Una cosa, tuttavia, è certa: l’ISIS costituisce una minaccia terribilmente seria per tutti e commetteremmo un grave errore se prendessimo le loro bellicose dichiarazioni,  come quella di piantare la bandiera nera sulla cupola di S.Pietro, come semplice propaganda. Ho l’impressione che almeno fino agli attentati di Parigi i governi europei abbiano sottovalutato il pericolo e non abbiano destinato mezzi sufficienti alla sorveglianza dei cosiddetti “jihadisti di ritorno” (i giovani musulmani con passaporti europei e quindi liberi di spostarsi all’interno dell’area Schengen ritornati addestrati e più agguerriti che mai dai campi di battaglia della Mesopotamia). Adesso il livello di allarme si è alzato e perfino l’Italia ha cominciato ad espellere chi faceva del proselitismo per l’ISIS o incitava all’odio, con la speranza che qualche magistrato non annulli i provvedimenti come è spesso accaduto in passato. Ma sarebbe illusorio pensare di riuscire a prevenire tutti gli attacchi, tenuto conto che abbiamo a che fare con individui che non esitano a morire per la propria causa. Perciò, prepariamoci a un periodo turbolento, cui si potrà mettere fine solo dopo aver preso atto che, contro un nemico che sembra uscito dal Medioevo, si può e si deve – almeno per un certo periodo – ricorrere a leggi speciali. Proprio come si fece con la legge Reale ai tempi delle BR.

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