Ho sbagliato e mi cospargo il capo di cenere. Nel mio ultimo intervento – che potete ancora visionare qui accanto- avevo previsto (o forse sarebbe meglio dire auspicato) che il patto del Nazareno si sarebbe gradualmente evoluto in una vera e propria alleanza tra Renzi e Berlusconi, per realizzare quelle riforme liberali che aspettiamo da troppi anni. La vicenda della elezione del presidente della Repubblica ha dimostrato che per la “grande coalizione” alla tedesca non ci sono le condizioni, perché Renzi si è dimostrato un partner inaffidabile, quasi uno specialista del gioco delle tre carte. Temo, anche se con la politica italiana non si può mai essere certi di nulla, che – indipendentemente da come andrà a finire la vicenda del capo dello Stato – l’inizio di rapporto di fuducia che si era instaurato tra il leader del centro-sinistra e il leader del centro-destra si sia incrinato per sempre, e che a Forza Italia non rimanga che tornare all’opposizione, con tanti saluti alla speranza che si potesse intraprendere un cammino che avrebbe portato finalmente a una modernizzazione di un Paese rimasto indietro rispetto a tutte le altre democrazie (leggi la nostra ormai cronica retrocessione nelle classifiche che contano, produttività, facilità a intraprendere e quant’altro).

Non è certo la prima volta nella mia carriera che mi capita di sbagliare, ma stavolta il risveglio è stato particolarmente amaro. Nonostante le numerose sbandate, le troppe dichiarazioni smentite dai fatti, una disinvoltura forse eccessiva, mi ero illuso che Renzi non fosse solo un “ragazzotto che ci sa fare con le parole” come lo aveva definito, già da tempo, il mio amico Piero Ostellino. Credevo che volesse davvero liberarsi della zavorra dei vecchi comunisti di cui è ancora pieno il PD, che quando si scontrava con la CGIL e ostentava la volontà di rompere con la vecchia politica fosse sincero, insomma che fosse la migliore carta che l’Italia potesse giocare per uscire dal pantano. Ero rimasto, sì, perplesso dalle sue giravolte sul Jobs act, dal modo incredibile in cui ha accantonato la spending review e da altri scivoloni che non sto a elencare, ma li avevo giudicati peccati veniali a fronte di un programma, per la verità troppo dilazionato nel tempo, che giudicavo positivo per il Paese. Dopo il modo in cui ha gestito la scelta del nuovo presidente della Repubblica, preferendo l’unità del suo partito, la confluenza con SEL e i fuorusciti dal grillismo al rispetto degli accordi presi e alla prospettiva di una “unione per le riforme” che durasse almeno pe l’intera legislatura, non mi faccio più illusioni. La mia sensazione – ora come ora – è che Renzi non voglia tanto riformare, quanto comandare, e che il liberalismo che traspariva da tanti suoi interventi sia sostanzialmente solo strumentale. E mi sono ricordato che, nonostante l’aria di novità, veniva pur sempre dalla sinistra democriastiana (cui, forse non incidentalmente, apparteneva anche Mattarella).

Su che cosa succederà di qui in avanti, non voglio fare altre previsioni, e neppure auspici. Mi auguro certamente che, visto che siamo destinati a tenerci il bipolarismo, un centro-destra oggi malamente frammentato riesca a ricompattarsi in tempo per le prossime elezioni. Mi auguro anche che la svolta a sinistra insita nell’operazione Mattarella non si traduca in riforme che peggiorino ancora le condizioni del nostro Paese. Ma la mia delusione rimane forte, e d’ora in avanti credo che troverete nei miei interventi un sensibile cambiamento di tono.

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